Il Papa non molla: scrive la Via Crucis e zittisce i corvi

Il Papa non molla: scrive la Via Crucis e zittisce i corvi

Quando si parla di Papa Francesco, le opinioni fioccano come coriandoli a Carnevale. C’è chi lo venera come un profeta, e chi lo bolla come un disastro su due gambe. Ma, alla fine, resta un fatto ineludibile: anche da acciaccato, il Pontefice continua a muovere le leve della Chiesa. E non per inerzia. Si è rimesso in gioco, con quel suo stile inconfondibile da vecchio lottatore che non ne vuole sapere di farsi da parte.

Il 18 aprile 2025 torna la Via Crucis al Colosseo. E questa volta, a sorpresa ma nemmeno troppo, le meditazioni le ha scritte proprio lui, il Papa in persona. Altro che pensionamento morbido: Francesco prende la penna e fa tremare le poltrone vaticane. Il Cardinale Baldassare Reina guiderà il rito, ma dietro c’è la regia di un uomo che molti davano per spacciato, e che invece detta ancora la linea. Viva, concreta, lontana mille miglia dal latinorum per pochi eletti.

Quella che per molti è solo una liturgia buona per far da sfondo alle riprese Rai, per Francesco è tutt’altro: un gesto forte, una dichiarazione teologica e politica insieme. In un’epoca in cui la fede rischia di annegare nei formalismi, il Papa ricorda che la Passione si attraversa con il cuore aperto e le ginocchia sporche. E chi ha orecchie, intenda.

Dalla sala stampa vaticana arriva l’aggiornamento: il Papa sta meglio. Più fiato, meno ossigeno, movimenti che tornano fluidi. Ma non è il bollettino medico il punto. Il punto è che non ha mai mollato la presa. Anche con le stampelle dell’anima, Francesco continua a camminare. Coordina, partecipa, vigila. Fa il Papa, insomma. E lo fa alla sua maniera: guardando in faccia la realtà, senza filtri né paludamenti.

Il messaggio che arriva da questa Settimana Santa è chiaro come il sole: basta con la religione da museo. Qui si parla di spiritualità viva, incarnata, che puzza di vita vera e non di incenso stantio. Niente più Chiesa ingessata nei suoi orpelli: Francesco vuole un popolo di credenti che pensa, agisce, si commuove. E lui per primo mostra la strada, nonostante la fatica.

Scrivere le meditazioni della Via Crucis non è solo un gesto affettuoso. È un affondo, un colpo al cuore della liturgia imbalsamata. Francesco non pontifica: accompagna. Non comanda dall’alto, ma cammina con. E a chi lo vuole distante e decorativo, risponde con la sua umanità disarmante, col suo stile pastorale che sa di parrocchia vera, di voci e lacrime.

In questa settimana carica di simboli, la sua presenza non è un dettaglio. È il centro. La sua ripresa – lenta ma decisa – è la metafora di una Chiesa che non si arrende. Non è più il tempo dei cardinali di porcellana, delle processioni da cartolina. Oggi serve un’istituzione che si sporchi le mani nel mondo, che accolga la complessità senza batter ciglio.

La Via Crucis di quest’anno è una di quelle che fanno rumore. Perché dietro ogni stazione c’è un Papa che non ha mai smesso di credere nella forza della fragilità. La sua ripresa fisica è anche una lezione spirituale: la Chiesa non è forte quando è impeccabile, ma quando è vera. Quando si lascia attraversare dal dolore e, pur zoppicando, continua a camminare.

In un’epoca in cui tutto sembra sbriciolarsi, Francesco resta lì. Al suo posto. Non per fare tappezzeria, ma per dire al mondo che la speranza non è morta. Che la fede, quella autentica, non è una reliquia, ma un corpo vivo. E che finché c’è un uomo come lui a guidarla, questa Chiesa ha ancora qualcosa da dire.