Accademia Ecclesiastica: finita l’era dei preti da salotto

Accademia Ecclesiastica: finita l’era dei preti da salotto

La Pontificia Accademia Ecclesiastica ha appena preso una scossa, e chi ha in odio qualsiasi barlume di novità si prepari a digerire l’ennesimo boccone amaro. Papa Francesco, che ormai ci ha abituati a mettere le mani nei cassetti impolverati della tradizione cattolica, ha tirato fuori un nuovo Chirografo. Di cosa si tratta? Di un restyling, che all’apparenza suona come una ventata d’aria fresca, ma sotto sotto è solo l’ammissione che certi ferri vecchi non reggono più la storia.

Facciamo un po’ d’ordine. L’Accademia non è più quel rifugio dorato dove preti e seminaristi imparavano a sfoderare inchini e benedizioni per le ambasciate. Adesso è un Istituto di alta formazione. Bene, direte voi. Ma attenzione: qui non si parla solo di latino e incenso. I nuovi sacerdoti dovranno masticare diritto, economia, scienze politiche, storia e perfino lingue straniere. Già immagino i tradizionalisti, chiusi nei loro corridoi bui come cantine, intenti a strillare allo scandalo. Li rassicuro: il mondo è cambiato. E la Chiesa, se non vuole diventare un museo a cielo aperto, deve cambiare pure lei.

Riforma significativa, dirà qualcuno; caduta dal pero, per altri. La realtà è che oggi un prete non può più permettersi di affrontare la complessità del mondo con le ricette del Concilio di Trento. Non basta conoscere il catechismo: bisogna saper trattare con culture ostili, dialogare con chi ha in mano i bottoni del potere e sciogliere nodi etici che fanno tremare i polsi. E scusate se è poco.

Il Papa è stato chiaro come una bottiglia di grappa: aggiornamento continuo o si resta a parlare da soli. “I pastori devono reggere le mani nei momenti difficili e promuovere il dialogo.” Messaggio semplice e diretto. A buon intenditor, poche parole. Se i paladini del “si è sempre fatto così” non si stanno già mangiando le unghie, lo faranno presto. Perché oggi non basta sapere le preghiere a memoria: bisogna capire il mondo, nella sua confusione e nelle sue storture. Questa è fedeltà al Vangelo, non la nostalgia da sacrestia.

Ed è qui che il Chirografo affonda il colpo. Il Vaticano non vuole più diplomatici vestiti da parroci col portafoglio gonfio e la parlantina untuosa. Vuole gente che sappia stare nei salotti del potere senza sembrare una comparsa. Il mondo brucia, i conflitti esplodono, e la diplomazia vaticana deve fare ben più che distribuire benedizioni. I tempi dei paraventi sono finiti. Chi ha orecchie, intenda.

Ma non è tutto. Il Papa ha detto basta ai seminari sotto vetro. I futuri ecclesiastici studieranno, certo, ma dovranno anche vivere il mondo vero, quello sporco, dove non bastano i salmi ma servono le mani nella pasta. L’era delle tonache stirate e delle frasi fatte è finita. La Chiesa, se vuole restare viva, deve imparare a stare in trincea.

Tutto questo, va da sé, implica un cambio di pelle. In un’epoca dove il populismo dilaga come un’influenza fuori controllo, e la polarizzazione fa impallidire il buon senso, non si può più avanzare bendati. La Pontificia Accademia non sarà più il club dei soliti noti, ma una fucina, un’officina, una palestra di intelligenza cattolica. Almeno, si spera.

Qualcuno, col solito tono da vecchia zia, dirà che è solo una goccia nel mare. Sarà. Ma è una goccia che può scavare la roccia. In un mondo dove il dialogo è diventato un lusso, formare gente capace di parlare e capire è un atto rivoluzionario. Altro che modernismo: qui si parla di sopravvivenza.

La riforma di Francesco non è un lifting. È un messaggio potente: o ci si rinnova, o si muore di muffa. Chi resiste al cambiamento farebbe bene a rileggersi il Vangelo: quello vero, non quello da cornice. Perché alla fine, la scelta è questa: essere luce nel buio o restare fermi, a recitare rosari mentre il mondo gira. A voi la risposta.