Conclave 2025: cardinali al lavoro, stufe pronte e Vaticano in fermento

Conclave 2025: cardinali al lavoro, stufe pronte e Vaticano in fermento

Manca poco al Conclave del 7 maggio 2025, e nella meravigliosa – e blindatissima – Cappella Sistina, si gioca una delle partite più decisive della storia recente della Chiesa. I cardinali sono 133, mica quattro gatti, e devono scegliere chi prenderà il posto lasciato vacante da Papa Francesco. E al Vaticano non stanno certo a pettinare le bambole: lavori in corso, gente che corre, restauratori all’opera, clima da vigilia mondiale.

La Cappella è off-limits per il pubblico. Giù il sipario, dentro si lavora come forsennati. I turisti fuori dai piedi, ché qui non si vende souvenir ma si prepara la successione al trono di Pietro. Le immagini che girano parlano chiaro: stufe montate, pedane posizionate, banchi spostati come in un trasloco di lusso. Roba seria. C’è pure la stufa originale del 1939 pronta a bruciare le schede. E accanto, una del 2005, che farà fumare il segnale al mondo: bianca se c’è il nuovo Papa, nera se si torna a tirare a indovinare. Mica pizza e fichi, è la liturgia della suspense.

E intanto, col cacciavite in mano, i tecnici si muovono come chirurghi, toccando gli affreschi con la delicatezza che si riserva a un santo. Non si può sbagliare, qui si fa la storia sotto gli occhi di Michelangelo. La Cappella è un diamante, e la trattano come tale. C’è chi la chiama tradizione, chi teatro del sacro. Ma una cosa è certa: il Vaticano vuole fare bella figura.

Nel frattempo, i cardinali si preparano. Ma non è un picnic tra vecchi amici. Ognuno ha in mente il suo preferito. E ognuno ha la sua visione di Chiesa. C’è nostalgia di Francesco, che ha lasciato il segno con il suo stile sobrio e il piglio da parroco globale. Ora però bisogna guardare avanti. Le congregazioni generali sono un pentolone pieno di opinioni: chi vuole continuità, chi sogna la rivoluzione.

Il cardinale Filoni ha già messo le mani avanti: “Il Papa non è Superman”. E Semeraro gli fa eco: “Cerchiamo un direttore d’orchestra, non un tenore che canta da solo”. Tradotto: basta padroni, serve uno che sappia ascoltare. Che guidi, ma senza tiranneggiare. Un uomo di equilibrio, non di show.

Fuori, nel mondo reale, i bookmaker già si fregano le mani: scommesse sui papabili, percentuali che cambiano ogni giorno. I giornali si scatenano, le TV trasmettono anche i chiodi messi nella pedana. Rai News ci fa la diretta pure del martello pneumatico. Lo spettacolo è iniziato, anche se il fumo ancora non si vede.

E guai a pensare che questa Chiesa stia solo a rimpiangere i bei tempi andati. La chiusura della Cappella è anche segno di modernità: si protegge un patrimonio, ma si guarda avanti. Tradizione sì, ma senza diventare muffa. In un mondo dove si urla e si semplifica tutto, il Vaticano vuole fare le cose a modo suo. Con lentezza, ma anche con una certa dignità.

Insomma, il Conclave non è solo un voto: è un passaggio di testimone, è l’occasione per capire che Chiesa vogliamo. Una che costruisce ponti o una che si barrica? Che ascolta o che comanda? I preparativi parlano chiaro: qui si rispetta il passato, ma con un occhio sul futuro. E chi verrà, dovrà saper tenere insieme tutto: il gregge e il bastone. Non serve un boss. Serve un maestro d’orchestra.