La foto di Donald Trump vestito da Papa ha scatenato un vespaio, inutile girarci intorno. In un momento in cui la comunità cattolica è ancora in lutto per la scomparsa di Papa Francesco, questa trovata social raschia il fondo del barile del rispetto. Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, non ha usato mezze parole. Ha definito l’immagine una “brutta figura”, un giudizio che arriva come uno schiaffo in faccia in un momento già carico di dolore e attesa.
Dolan non è certo un agnellino. È uno che sa quando e come farsi sentire. La sua condanna dell’ennesima sparata trumpiana è un monito con i fiocchi: questo non è il tempo degli scherzi da bar. Alla vigilia del Conclave del 2025, dove si decide il futuro della Chiesa, ci si aspetta riflessione, non cabaret da social. La sua risposta è un secco e sonoro: “Trump vestito da Papa? No, grazie”. Un richiamo all’ordine che taglia come una lama affilata: certe cose non si toccano, punto.
E qui casca l’asino. La Conferenza Episcopale americana non ha fatto passare l’episodio sotto silenzio. Il comunicato ufficiale è un siluro: “Non c’è niente di intelligente o divertente, signor presidente. Abbiamo appena seppellito il nostro amato Papa Francesco”. Un messaggio che rimbomba come un campanile in piena notte. La Chiesa non è uno sfondo per meme idioti né un palcoscenico per satira da quattro soldi. Il rispetto non è un optional.
Ci vuole buon senso, certo. Ma pare che tra politica e sacro il buon senso sia merce rara. La provocazione di Trump, apparentemente goliardica, è in realtà una sassata in una vetrina di cristallo. Dolan e i suoi colleghi lo hanno capito al volo e hanno reagito con la prontezza di chi difende non solo l’istituzione, ma il cuore stesso di una fede. Il popolo di Dio, già provato, merita silenzio e rispetto, non pagliacciate digitali.
Nel bel mezzo del caos, un momento di dolcezza: Dolan si ritrova davanti a una bambina che gli chiede con innocenza disarmante: “Sei tu il nuovo Papa?”. La risposta è un “No” accompagnato da una carezza. In un mondo dove tutti gridano, quel gesto è un sussurro potente. Dice tutto: umanità, delicatezza, verità. In quel tocco c’è più teologia che in mille prediche. È lì che si vede l’uomo, non nella toga o nella tiara.
E guardando al futuro, Dolan sogna un Papa che sia una “miscela dei tre ultimi”. Una sfida titanica, ma necessaria. Perché la Chiesa oggi è chiamata a confrontarsi con i temi roventi del nostro tempo: ambiente, diseguaglianze, migrazioni. Il prossimo Pontefice non dovrà volare tra le nuvole, ma camminare nel fango della realtà, senza paura di sporcarsi le mani.
Questo Conclave promette di essere tutto fuorché scontato. Non solo per le solite lotte intestine, ma perché c’è un’urgenza palpabile di cambiamento. I cardinali si studiano, si scrutano, si misurano. Le tensioni politiche fanno sentire il loro peso, e proprio in questo scenario la presa di posizione di Dolan si fa profetica. Basta con i santoni da vetrina: serve un uomo vero, saldo, capace di unire e guarire.
Alla fine, è questo il nodo. Che cosa vuol dire essere Chiesa oggi? Non basta l’abito, non bastano le cerimonie. Serve presenza, ascolto, lucidità. L’unico abito che conta è quello dell’umanità. E se i cardinali se lo dimenticano, sarà un’altra occasione persa. L’eredità che lasceranno dipende dalla loro capacità di guardare oltre il loro ombelico.
In un’epoca dove Twitter detta l’agenda e i meme sostituiscono la liturgia, mantenere la rotta è un atto eroico. Dolan, Jardim e gli altri non possono permettersi di cadere nella trappola della superficialità. Il rispetto per il sacro non si svende. Le parole pesano, e chi gioca a fare il Papa sul web, prima o poi, dovrà rispondere.
Il Conclave si avvicina, e le aspettative fermentano come un rosso d’annata. Ma spiritualità non è mascherata da carnevale. Il prossimo Papa dovrà avere lo spessore del pastore, non la leggerezza del buffone. E il messaggio di Dolan, tra le righe e anche fuori, è chiarissimo: basta spettacoli. È tempo di guida vera.