Via Crucis 2025 al Colosseo: il processo di Papa Francesco ai cuori induriti

Via Crucis 2025 al Colosseo: il processo di Papa Francesco ai cuori induriti

Roma, 18 aprile 2025. È Venerdì Santo, ma l’aria non ha nulla di pacificato. Stasera, quando il sole sarà sceso e il Colosseo tornerà a vestirsi da teatro sacro, andrà in scena la Via Crucis. Non sarà una messa cantata per anime assopite, ma un pugno allo stomaco ben assestato. A presiedere la celebrazione sarà il cardinale Baldassarre Reina, chiamato a sostituire Papa Francesco, rimasto in convalescenza. Ma guai a pensare che la sua assenza voglia dire silenzio: le meditazioni papali, già diffuse, sono bombe a orologeria. Altro che acqua benedetta: qui si parla di fuoco.

Alle 21:15, le quattordici stazioni della Passione saranno percorse da una croce che è simbolo, certo, ma anche denuncia. Il contesto è quello del Giubileo 2025, ma il contenuto va oltre la liturgia: è una resa dei conti. Francesco non ha voluto scrivere testi per addolcire l’anima dei tiepidi. Ha scritto per scuoterli. E lo ha fatto con la consueta, disarmante lucidità: “Disumana è l’economia in cui novantanove vale più di uno.” Un’affermazione che, letta in un salotto bene, genera più gelo del conto di fine mese.

Chi si aspettava la solita processione, resterà deluso. O forse travolto. Perché la Via Crucis di quest’anno è un grido. Un dito puntato contro il capitalismo spietato, contro il vizio della disumanità mascherato da progresso, contro l’abitudine di ignorare i poveri per timore che ci ricordino chi siamo. Le stazioni, una dopo l’altra, non inviteranno solo a pregare. Inviteranno a vergognarsi. Di quel migrante annegato mentre noi cenavamo. Di quella badante invisibile che tiene in piedi le nostre famiglie. Di chi lavora nei reparti sanitari senza ferie, senza gloria, senza voce.

Le parole di Francesco sono lì, nero su bianco, a ricordarci che la carità non è una collezione di like. È sporcarsi le mani. È perdere qualche certezza per guadagnare un po’ di verità. L’empatia, in questo mondo febbricitante, è diventata merce rara. E quando c’è, viene guardata con sospetto, come fosse una debolezza d’animo. Meglio cinici che umani, pare.

La celebrazione sarà trasmessa in diretta su Rai1 e TV2000, a beneficio di chi ha lo stomaco per guardare in faccia la realtà. Perché questa Via Crucis non è uno spettacolo: è un avviso. La croce che sfilerà nel cuore di Roma sarà anche la nostra. Non c’è distanza di sicurezza dal dolore che ci circonda. Non c’è maschera che tenga. E chi pensa che basti recitare un’Ave Maria per cavarsela, farebbe meglio a spegnere la TV.

Anche la logistica urla il senso dell’evento: strade chiuse, linee di autobus deviate, controlli serrati. Non per folklore, ma perché viviamo in un mondo che esplode a ogni angolo e in cui ogni gesto collettivo è potenzialmente una sfida alla follia dilagante. Come ha scritto oggi la Repubblica, la sicurezza attorno al Colosseo non è solo cautela: è un segnale chiaro di quanto l’umanità sia diventata un campo minato.

Stasera non sarà solo una cerimonia. Sarà un bivio. O si ascolta, o si continua a far finta di nulla. La Chiesa di Francesco, con tutti i suoi limiti, almeno ci prova. Almeno scende in strada. Almeno prende posizione. Non è poco, in tempi in cui molti si inginocchiano solo davanti al denaro o al potere.

E allora viene da chiedersi: siamo pronti davvero? O vogliamo ancora l’Evangelo delle buone maniere e delle omelie che si dimenticano prima del caffè? Perché servire i più deboli non è un gesto gentile: è un dovere. E chi si ostina a ignorarlo, non ha capito nulla né della fede né della vita.

La Via Crucis di stasera sarà uno specchio. E come tutti gli specchi, non fa sconti. Riflette la nostra incapacità di ascoltare, di includere, di cambiare. Ma può anche risvegliare chi ha ancora un cuore che pulsa. Il cristianesimo non è per anime tiepide. È per chi ha il coraggio di guardare il mondo in faccia e dire: “Non ci sto.”

Chi non sarà lì con i piedi, ci sia almeno con la coscienza. Perché questa sera, a Roma, la croce la porteremo tutti.