JD Vance in Vaticano: tra liturgie e diplomazia, il messaggio è chiaro

JD Vance in Vaticano: tra liturgie e diplomazia, il messaggio è chiaro

Altro che passerella politica: JD Vance giunge in Vaticano. Un americano in missione tra le navate del potere spirituale. L’America manda un segnale, e lo fa attraverso un conservatore, fresco di conversione al cattolicesimo (anno domini 2019), che si presenta nientemeno che alle liturgie nella Basilica di San Pietro. E con chi arriva? Con la moglie Usha e tre figli vivaci al seguito: una cartolina di famiglia americana in gita spirituale. Ma attenzione, non è solo turismo religioso: è politica, eccome se lo è. Vance gioca d’anticipo, si muove su un terreno scivoloso, e lo fa con la compostezza di chi sa che ogni gesto pesa.

Venerdì Santo. Basilica di San Pietro. Vance è lì, inginocchiato, figlia in braccio, occhi bassi. Una scena che, volendo o no, grida al mondo: anche un vicepresidente può pregare. Il cardinale Claudio Gugerotti presiede la liturgia della Passione, forse più confuso che ispirato. Ma l’immagine è potente. L’uomo pubblico che si fa devoto. E non un devoto qualsiasi: uno che da elettore si è trasformato in uomo forte del trumpismo, e ora cerca di ricamarsi addosso i paramenti della fede.

Finita la celebrazione, si passa al sodo: incontro, oggi, con il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Lo scenario è il Palazzo Apostolico, dove le pareti non solo ascoltano, ma custodiscono secoli di diplomazia. I temi? Roba seria: migranti, diritti umani, libertà religiosa. Argomenti bollenti, lontani dalle chiacchiere da talk show. Il passato di Vance, le sue posizioni restrittive sull’immigrazione, pesano come un macigno. Ma ora eccolo lì, a cercare un ponte, a tentare il dialogo con chi rappresenta la coscienza morale del mondo cattolico.

E allora viene da chiedersi: qual è oggi il ruolo della Chiesa? Deve starsene in disparte o farsi voce attiva nella giustizia sociale? Per chi vorrebbe tenerla fuori dalla mischia, la presenza di Vance in Vaticano è una provocazione. Ma Parolin non si è nascosto dietro il politichese: ha ricordato con chiarezza che la collaborazione tra religione e politica non è optional, ma necessità. La libertà religiosa, ha detto, è un diritto da difendere con i denti.

L’incontro è stato anche un banco di prova per Vance, che ha dovuto ascoltare, forse con qualche smorfia interna, le preoccupazioni del Vaticano. Soprattutto quelle legate ai migranti. Ma l’ha fatto. Il che, nel suo mondo, non è poco. La visita non cancella le critiche, né le ipocrisie. Però rilancia il dibattito. E mette Vance in una posizione interessante: è l’uomo giusto nel posto giusto, o solo uno che sa stare nella foto?

Nel contesto di un’epoca dove le democrazie barcollano e i populismi scorrazzano, l’incontro tra Parolin e Vance rappresenta una boccata d’ossigeno. Le intenzioni sono lì, sul tavolo. Resta da capire se seguiranno i fatti. Le chiacchiere, si sa, volano. Ma se dal dialogo nasceranno azioni, sarà tutta un’altra musica.

Certo, le polemiche non mancano. Vance, con il suo passato trumpiano, è visto da molti come un elefante nella cristalleria vaticana. Le sue posizioni cozzano con quelle di Papa Francesco, soprattutto sull’accoglienza. Ma la sua visita ha smosso le acque. Si è parlato. Ci si è guardati negli occhi. E già questo, per certi standard, è rivoluzione.

L’impressione è che non finisca qui. Vance sembra intenzionato a tornare. A riaprire il dialogo. Magari a costruire, pezzo dopo pezzo, un canale stabile. E se pure fosse solo un matrimonio di convenienza, tanto vale farlo funzionare.

La sua partecipazione ai riti pasquali e agli incontri con i vertici vaticani è un segnale inequivocabile: fede e politica, quando la realtà brucia, non possono fingere di ignorarsi. Chi crede che la religione debba starsene muta di fronte alle ingiustizie, sbaglia di grosso. Siamo in tempi in cui la carne viva della società chiede risposte. Vance, per quanto imperfetto, lo ha capito. E ha scelto di ascoltare.

Che sia l’inizio di qualcosa o solo un episodio isolato, sarà il tempo a dirlo. Ma una cosa è certa: la Chiesa non può restare a guardare. E, a giudicare da questo incontro, non ne ha nessuna intenzione.