Amnesty International ha messo nero su bianco un report che fa rabbrividire. Parliamo di numeri, e di quelli brutti. Nel 2024, il mondo ha visto 1.518 esecuzioni, la cifra più alta negli ultimi dieci anni. Un bel traguardo, non c’è che dire. Sì, perché evidentemente ci piace tornarci, a quella brutta abitudine di giustiziare. Chi non lo fa? Se guardiamo al Medio Oriente, la situazione è agghiacciante: Iran, Iraq e Arabia Saudita rappresentano il 91% delle esecuzioni. E chi se lo aspettava?
L’Iran svetta con un imbarazzante 972 esecuzioni. Raggiungendo le stelle, direi. L’Iraq ha raddoppiato le esecuzioni, ora a 63. Bravi, bravi! A questo punto, l’Arabia Saudita non può certo restare indietro, con un bel +345 esecuzioni. Giusto per fare la competizione. Se questo non è un gioco macabro, non so cosa sia.
Ma non fermiamoci qui. Oltre il 40% delle esecuzioni è legato a reati di droga. Sì, avete capito bene. Non omicidi, non crimini efferati, ma spaccio di sostanze. Eppure ci chiediamo perché in alcuni luoghi le vendette si prendano così; la giustizia che ammazza, signori. Avanza una domanda inquietante: qual è l’etica che regna in tutto ciò? Ma chissene frega se è etico? Chi ha tempo per questioni morali quando c’è la crudeltà da sfoggiare.
Negli Stati Uniti, siamo a 25 esecuzioni. Un incremento rispetto all’anno passato. Se non altro, un passo avanti, non trovate? Ma se guardiamo al dato globale di 1.518 esecuzioni, abbiamo un bello 32% in più rispetto al 2023, quando eravamo fermi a 1.153. La giustizia si muove a colpi di lame, e non sembriamo aver voglia di fermarci.
Ma non pensate che il tutto sia solo un brutto sogno. Amnesty ci comunica un fatto sconcertante: la pena di morte viene usata come strumento di repressione. Sì, avete sentito bene. Stampiamo la brutalità su manifestanti e minoranze etniche. Bravo, così, mettiamo una pietra tombale sulla giustizia. La giustizia diventa un’arma, e non una panacea. Noi, che ci consideriamo civilizzati, abbiamo i nostri bei programmi di repressione. La giustizia, in questo modo, sa di marcio.
Di contro, ci sono timidi segnali di speranza. 113 stati hanno abolito del tutto la pena di morte, e 145 hanno deciso di eliminarla per legge o per prassi. Questa è una bella notizia, ma esiste ancora un lungo cammino da percorrere. Non abbattiamoci, ma non illudiamoci: la strada è lunga e grigia.
Intanto, in Cina regna il mistero. I dati sulle esecuzioni rimangono avvolti in un velo di oscurità. Chissà quanti si consumano nell’ombra. Giocano a fare i segreti e noi qui a farci domande. Guardando i numeri, solo 15 stati hanno eseguito condanne nel 2024. Il numero più basso mai registrato. Un paradosso che presenta un quadro complesso e preoccupante. Siamo al confessore della giustizia.
In questo contesto, dove la vendetta sembra prevalere sulla redenzione, bisognerebbe fermarsi a riflettere. Ci siamo dimenticati il significato di ogni vita, quella vita sacra e irripetibile. La pena di morte, con la sua brutalità, non offre possibilità di redenzione. Si tratta di un circolo vizioso di violenza e risentimento, un salto nel vuoto da cui è difficile risalire. In un’epoca di indignazione globale, come possiamo permettere che l’illusione della giustizia colpisca tutti noi così forte?
Siamo diventati una società che ama punire più di quanto ami perdonare. La punizione è diventata la regina, un gesto di potere che calpesta l’essenza stessa della vita umana. E chi siamo noi, se non coloro che dovremmo erigere a guardiani della dignità di ogni individuo, compresi quelli che hanno sbagliato? Ogni vita merita di essere garantita. Ogni vita merita una possibilità. stiamo diventando prigionieri di un sistema che premia la vendetta e ignora l’amore.
Mettiamoci a riflettere. È tempo di alzare la voce contro l’indifferenza, di promuovere una cultura della vita. Non ci possiamo permettere di restare in silenzio quando sappiamo cosa sta succedendo sotto i nostri occhi. La vera essenza della nostra civiltà si misura con la nostra capacità di sostenere e stesso per chi ha perso la via. Serve giustizia, serve misericordia. E non in forma di esecuzioni e vendette.
Se ci allontaniamo dalla compassione, ci avviciniamo alla barbarie. Non dimentichiamocelo.