Signori, parliamo chiaro, senza girarci attorno: Papa Francesco non è in gran forma. Dopo due settimane di convalescenza che sembrano un eterno lunedì mattina, il Pontefice si affaccia di nuovo alla vita pubblica con la sua (ormai) famosa infezione polmonare. Dicono che stia meglio. Stazionario, ci dicono. Con lievi miglioramenti. Ma è davvero tutta questa grazia divina o solo un abbellimento per rassicurare le masse? Ricordiamoci che, in Vaticano, le parole pesano come macigni e le informazioni sono più pesanti delle croci.
Il Santo Padre ha incontrato il Cardinale Pietro Parolin. Un bel segnale, intendiamoci. Ma io mi chiedo: cosa ha da dirgli? I documenti della Curia? O forse raccontargli delle sue settimane in biliardo? Perché a questo punto siamo al limite dell’assurdo. La salute di un Papa dovrebbe essere materia di discussione aperta, non di una commedia all’italiana. Non possiamo nasconderci.
Fatti: le notizie corrono, tra fanfare e malumori. Domenica, Francesco si è affacciato sul sagrato della Basilica per la Messa del Giubileo degli ammalati. Applausi, caloroso affetto. Certo, sarebbe meglio che i fedeli lo vedessero in forma smagliante e non come un pensionato che ha stravinto il lotto e si avvia verso un glorioso ritiro. I fedeli meritano di più. Si parla di un Papa in forma, non di un uomo in convalescenza. E poi ci sono le questioni della Settimana Santa. Assurdo!
Le cerimonie pasquali sono in arrivo e i fedeli si chiedono: sarà presente? La Sala Stampa fa orecchie da mercante. Non ci sono indicazioni. Ecco, questa è l’incertezza che crea un abisso tra la Chiesa e i fedeli. Non possiamo parlare di sacralità e allo stesso tempo tenere il popolo senza certezze.
La fragilità del Papa potrebbe diventare un simbolo di un’umanità ferita, una comunità chiamata ad abbracciare vulnerabilità e sofferenza. Ma qui la retorica spirituale si scontra con la realtà spietata della gestione della salute del Papa. È una via crucis in cui le sofferenze di un leader religioso non solo influenzano la gerarchia ecclesiale, ma martellano anche le vite quotidiane di milioni di persone. In questo clima di incertidumbre, chi exerce vero servizio pastorale?
Il Papa torna, ma è la Chiesa intera che deve riprendere a camminare. Si parla di accompagnamento, di compassione. Ma guardate, chi è che si fa carico di queste parole in un’epoca in cui tutti cercano il modo per scappare dai propri impegni?
Il messaggio è chiaro, ma non c’è da nascondere che ci viene somministrato a piccole dosi diluite. La presentazione della vulnerabilità come un abbraccio caloroso e materno è un’idea bella, ma echeggia come un’eco in una cattedrale vuota. La Settimana Santa è qui, le emozioni sono alle stelle, ma il timore che tutto possa saltare in aria è palpabile.
Riflessioni cruciale al di là delle parole: l’imminente Pasqua porta con sé la necessità di una Chiesa che non solo abbraccia le proprie cicatrici, ma che si trasforma in un faro di accoglienza per tutti gli “ultimi” della società. Quella è la vera missione e qui, mi dispiace dirlo, ci vuole un pizzico di coraggio. Sorella Chiesa, abbraccia la tua fragilità e diventa complice di chi soffre! La vera gloria non è nella potenza di un Papa, ma nella forza di una comunità che tiene la mano a chi è in difficoltà.
Concludendo, che si preparino gli altarini: Papa Francesco ha bisogno non solo di preghiere, ma anche di una Chiesa rinnovata, capace di abbandonare i formalismi e di abbracciare quella scintilla d’umanità che può, forse, anche suggerire un futuro più luminoso per tutti noi. E per quanto riguarda la salute del Papa? Stiamo a vedere, ma non aspettatevi miracoli. Non uno di quei miracoli che i nostri antenati usavano per giustificare ogni cosa. Se ci sarà qualche miracolo, sarà da cercare nel cuore della comunità. Lo aspettano, anche se non lo ammettono.