Papa Francesco in sedia a rotelle in mezzo ai marmi di San Pietro: i benpensanti non capiscono

Nel pieno del delirio collettivo tra influencer, fiction e indignazioni da divano, Francesco si presenta nella Basilica di San Pietro come uno che non ha bisogno di inviti. E non per farsi vedere, ma per ricordare a tutti che la fede non si fa col filtro Instagram. E che fai, non ti fermi a guardare un Papa in sedia a rotelle che si infila tra le tombe dei predecessori? Sembra l’inizio di un film, invece è Vaticano vero. Una scena da prima pagina, ma che ormai non fa nemmeno più notizia – perché ci siamo abituati anche al Papa “pop”.

Eppure, parliamo di un uomo che, dopo essersi preso una brutta botta ai polmoni (mica un raffreddore), si presenta lì, tra affreschi e polvere, come se niente fosse. Francesco, con il suo look da passeggiata al Gianicolo: pantaloni neri e poncho. Altro che tunica papale: sembra più pronto per una gita a Trastevere che per una funzione liturgica. I benpensanti già con le mani nei capelli.

Ma perché tutto questo? Non certo per godersi il panorama. Il Papa è andato a controllare i lavori sui monumenti funebri di Paolo III e Urbano VIII. Gente che, ai loro tempi, si faceva erigere tombe che oggi costerebbero più di un grattacielo a Dubai. Francesco però non si incanta: il messaggio è chiaro, chiarissimo – la Chiesa, come lui, è fragile. Non è più tempo di ori e troni, ma di mani sporche e umiltà.

E così, mentre scambia due parole con le restauratrici – donne che con pennellini e pazienza tirano fuori la bellezza dalla muffa – arriva anche la mazzata per chi si aspetta una Chiesa imbalsamata: no, stavolta si parla di servizio. Non solo affreschi, ma simboli vivi. La Tradizione si gratta via dalla superficie e si riporta alla luce, altro che conservatorismo mummificato.

Già, e la fragilità? Oggi si fa finta di non vederla. Si idolatra la perfezione su Instagram, ma guai a mostrare una debolezza. E invece eccolo lì, il Papa, che con la sua camminata zoppicante ci ricorda che essere umani non è un difetto. È la missione. Altro che vestali della purezza e crociati del dogma: qui si torna alla carne viva della fede.

E chi critica? Ci sono sempre quelli che gridano allo scandalo se il Papa non si presenta ingessato nei paramenti. Ma dai, serviva davvero la pianeta d’oro per parlare con chi raschia marmo? La realtà è che questo gesto vale più di mille prediche: l’umiltà non ha bisogno di palcoscenici.

Occhio però: nessuno sta dicendo di gettare a mare la sacralità. Ma forse – e dico forse – è ora di rimettere al centro il cuore, e non solo l’apparato. Parole come “dialogo” e “nonviolenza” sembrano citazioni da Baci Perugina, ma sono tutto tranne che retorica. Bisogna solo ricordarsi di ascoltare, non di pontificare.

Francesco non è tornato per caso. La sua presenza fa rumore, anche in silenzio. E in un mondo in cui tutti urlano, quel silenzio è rivoluzionario. Ci ricorda che la fragilità può essere forza, e che una carezza può valere più di mille dogmi. Un gesto semplice, umano, eppure oggi più che mai urgente.

Morale della favola? Quella passeggiata non era solo un fuori programma ben studiato. Era un monito. A chi crede, a chi sbuffa, e pure a chi se ne frega. Francesco non giudica, agisce. E noi? Pronti a fare qualcosa di concreto, o sempre a lamentarci dietro uno schermo?

Meno liturgie da tastiera e più mani tese. Meno post indignati e più realtà vissuta. Se la Chiesa vuole tornare ad avere un’anima, deve imparare a sporcarsi. E noi con lei.