Offerte e affari: il Vaticano dice basta ai preti mercanti

Mercoledì 14 aprile 2025, il Vaticano ha finalmente sbattuto il pugno sul tavolo. Era ora. Dopo anni di silenzi e ipocrisie, è arrivato un decreto che fa chiarezza sul tema scottante delle offerte per le messe. Troppa grazia. Il Dicastero per il Clero ha detto basta alla fiera del sacro: le offerte devono tornare ad avere senso, non essere il bancomat del prete furbo. “Dacci oggi le nostre offerte quotidiane”, sì, ma con trasparenza e senza prenderci per fessi.

Perché, diciamolo, c’è chi coi soldi dei fedeli ci si è fatto il corredino. Altro che spirito santo: qui è il profumo dei soldi a girare tra incenso e campane. Il sacro svenduto come fosse pesce al mercato. E non ci voleva un teologo per capirlo: bastava avere occhi. Il Papa lo ha capito e ha fatto partire la sforbiciata.

Il decreto, che entrerà in vigore il 20 aprile, vieta finalmente certe furbate: una sola intenzione per messa, niente trucchetti da prestigiatori dell’altare. E soprattutto: se arrivano più offerte, il parroco ne tiene solo una. Le altre vanno dove servono. Chiaro, semplice, come dovrebbe essere da sempre. La messa non è un listino. E chi bara, è fuori.

Poi arriva la vera chicca: tutto tracciabile. Fine delle buste volanti e dei conti paralleli. Basta offerte a mano che spariscono come vino nel calice. Il Papa l’ha detto chiaro: le parrocchie bisognose devono ricevere il loro, non restare con le tasche bucate mentre altrove si fanno le grigliate con lo champagne.

E adesso che succede? Che con la Pasqua alle porte, si attende la reazione dei fedeli. Perché, mentre a Roma si cerca di mettere ordine tra le messe, da tempo in certe parti d’Italia e del mondo anche i riti devozionali sono diventati una specie di Carnevale travestito da fede. Altro che spiritualità: c’è chi ha fatto del culto un palcoscenico, col piattino pronto. Non si parla più di preghiere, ma di operazioni da centinaia di migliaia di euro. Altro che fede, qui c’è odore di affari. E mica poco.

Se questo decreto riuscisse anche solo a far scattare un campanello d’allarme, allora sì, ci sarebbe speranza. Una Pasqua vera, non un circo. Una Chiesa che torna a parlare di libertà, giustizia, purezza. Utopia? Forse. Ma sarebbe una botta di vita.

Perché questo decreto non è solo una formalità burocratica. È un calcio nel sedere a un sistema che si è adagiato, che si è messo comodo sulle offerte. La rivoluzione serve. E serve ora. Basta preti col registratore di cassa nascosto sotto la tonaca. Basta sante messe vendute come se fossero week-end all inclusive. Ogni offerta vera, libera, è un atto di fede. Ogni abuso, invece, è una bestemmia.

È il momento di dire basta. La Chiesa non può più essere la succursale di una banca. Serve una sveglia. Forte. Papa Francesco l’ha suonata. Ora tocca a noi ascoltarla. E magari smettere di farci prendere per i fondelli.