Sembra che, nonostante i sermoni sul rinnovamento, si sia tornati ai vecchi tempi: cardinali di lungo corso e rispetto che prendono in mano la situazione. Dopo anni di chiacchiere su una presunta rottura con il passato, eccoci qui, a celebrare la resurrezione con chi di tradizione vive e prospera. Comastri, roba seria, non è nuovo al palcoscenico: arciprete emerito della Basilica di San Pietro, il suo nome è un richiamo alla stabilità. E chi avrebbe mai pensato che questa Pasqua del 2025 potesse vedere una celebrazione condotta da chi sa realmente come si fa il mestiere?
La Messa di Pasqua si svolgerà in Piazza San Pietro alle 10:30, come da manuale, e questo non può che farci sorridere — l’apparente caos moderno viene messo in riga, almeno per un giorno.
Intanto, la Veglia Pasquale sarà guidata dal cardinale Giovanni Battista Re, il decano del Collegio Cardinalizio. E che dire? Altro pezzo da novanta. Uno di quei nomi che fanno tremare i polsini ai riformatori da salotto. Sembra che chi desidera vedere una Chiesa che si distacca dalle sue radici resterà deluso. La tradizione liturgica, ben salda, ci ricorda che non tutto è perduto — almeno finché ci sono uomini che sanno cosa stanno facendo, senza bisogno di tweet e lucine.
Chi sostiene che l’attuale papato abbia abbandonato le tradizioni dovrebbe prendersi un caffè (amaro) e studiare un po’ di più. Le letture e i testi per la Via Crucis, preparati addirittura dal Papa in persona, zittiscono con eleganza i soliti cantori dell’apocalisse liturgica.
E poi, parliamo di deleghe papali. Non un semplice atto burocratico, ma una dichiarazione di fiducia. Il Papa ha scelto i suoi cardinali con attenzione, e non è affatto un gesto da poco. Altro che automatismi di Curia: qui si gioca a scacchi, non a briscola. Siamo abituati a guardare le cose con i nostri occhiali, magari macchiati da polemiche e malintesi, ma questa è la pura verità. Comastri, Re, Calcagno per la Messa del Crisma e Gugerotti per la Passione. Un cast di attori consumati, insomma. Magari sembrerà un discorso da conservatore, ma chi critica questa attenzione alle tradizioni è un po’ come un pesce che ignora l’acqua.
Il recente incontro di Papa Francesco con i vertici e il personale della Fondazione Policlinico A. Gemelli non è solo un gesto formale. È un segnale. Qui non parliamo di un uomo di Chiesa che rifugge le sfide, ma di un Papa che si prende cura, e non ha paura di far sapere che la salute della Chiesa passa anche dai corridoi dell’ospedale, non solo da quelli apostolici. Colleghi e critici, fate attenzione: questo è un Papa che ringrazia il personale per il supporto ricevuto durante il suo ricovero. È un segnale di responsabilità e delle sue preghiere per un recupero che sembra avere un sapore più umano di molte delle frasi vuote che girano nei corridoi.
Il punto è chiaro: Pasqua non è solo un evento religioso, ma un momento di riscoperta. La comunità cattolica si riunisce, non solo per un rituale di resurrezione, ma per riflettere su temi di fede, spiritualità e, oserei dire, umanità. Comastri e Re, due figure di lungo corso che portano avanti la tradizione, sono il simbolo di una Chiesa che può sembrare dinamica, ma che, in realtà, è ben radicata. Una Chiesa con le scarpe sporche di terra, non con le pantofole d’ideologia. La Chiesa inclusiva e attenta di Francesco non è affatto un allontanamento dalla vera fede, ma piuttosto una risposta a chi guarda col muso lungo e dimentica l’essenza stessa del cristianesimo.
La Pasqua, dunque, non è solamente un periodo di liturgie e celebrazioni: è una parentesi in cui si può anche fare un bilancio. E in questo bilancio, la scelta di cardinali esperti e apprezzati illumina un percorso chiaro, contraddistinto da quella coerenza che, tra alti e bassi, riesce a mantenere il timone dritto. Mentre il mondo corre verso il caos, la Chiesa — quella vera — risponde con le sue rughe e la sua lucidità.
Ecco il riepilogo: fede, tradizione, responsabilità, umanità. Mettete insieme queste cose e avrete un’immagine abbastanza nitida della Chiesa di oggi. Se l’intenzione era quella di aprire un faro su una ciurma di vecchi lupi, beh, ci siamo riusciti. Le celebrazioni di Pasqua promettono di essere qualcosa di molto più grande della somma delle loro parti. Con Comastri e Re sul palcoscenico, ci si può aspettare più di un semplice rito. Ci si può aspettare una scossa. Un sussulto di quella cattolicità che, seppur bastonata, non muore.
Sì, c’è qualcosa di profondamente rassicurante in questo. L’idea che la Chiesa non abbandoni le sue radici, ma le intrecci con un’apertura necessaria al mondo. È un’opera di equilibrio, difficile da realizzare ma vitale per la sopravvivenza di una comunità che non ha paura di evolversi pur rimanendo coerente con i propri principi. In un mondo che corre incontro alla disgregazione dei valori, ecco, la Pasqua si erge come un palcoscenico di speranza. Ma occhio! Non è un palcoscenico per chiunque: richiede rispetto, fede e una buona dose di comprensione.
E ora, che si avvicini il giorno! Che le celebrazioni siano un monito a chi si è smarrito nel mondo della superficialità. Comastri e il suo entourage ci danno una lezione di integrità. La Chiesa, il Papa, la Pasqua: tutti elementi che non solo si intrecciano, ma che creano un disegno chiaro e definito. Se questa è la strada da percorrere, che sia percorsa senza vergogne e senza chiacchiere. La Pasqua è più di una celebrazione; è un canto alla vita, sì, ma con l’organo acceso, non con lo xilofono delle banalità.