Papa Francesco, il nostro amato Santo Padre, è tornato. E lo fa a modo suo: spiazzando, rompendo gli schemi, mandando in tilt i radar di chi ancora sogna il Concilio di Trento. Oggi pomeriggio si recherà in visita al carcere di Regina Coeli a Roma. Già si alzano le antenne: il 17 aprile è Giovedì Santo, un giorno che fa rizzare i capelli ai tradizionalisti incalliti come le cipolle nel soffritto.
Quella giornata, sacra e venerata, in cui si ricorda l’Ultima Cena di Gesù con i discepoli, normalmente stratifica in riti monumentali e profumi d’incenso. Ma no, il Papa ha scelto di andare là dove gli altri si fanno il segno della croce e tornano indietro. Di tornare a quel che conta davvero, lontano dalle piacevoli celebrazioni formali e dai fumi brevi dell’incensiere dorato. Un gesto coraggioso? Forse. Un ceffone elegante alle consuetudini clericali? Sicuramente.
Il Papa incontrerà un gruppo di detenuti. Un incontro “privato”, si dice. Privato quanto basta da far impazzire i soliti inquisitori da tastiera, pronti a chiedersi se Gesù avrebbe approvato. Ma cosa significa, in pratica, creare questa intimità con chi la società ha già scaricato come un file corrotto?
L’incontro non è solo un gesto caritatevole. È un pugno nello stomaco di chi vorrebbe la Chiesa chiusa nei sacri recinti delle liturgie ben stirate. È un richiamo – che urla – al Vangelo, non a un manuale di cerimoniale. Il cristianesimo è fatto di carne e sangue, non solo di cera e turiboli.
Il Papa porta con sé un Vangelo donato ai detenuti. Non un gadget, ma un simbolo. E pure un promemoria: “Non siete solo un numero, né un fastidio amministrativo”. Pensateci: è più cristiano inginocchiarsi davanti a un tabernacolo, o guardare negli occhi chi ha perso tutto?
Le autorità ecclesiastiche, solitamente ingessate, si piegano ai protocolli come vecchi palinsesti televisivi. Ma il Papa no. Il Papa scaraventa in faccia a tutti il concetto di umanità con la forza di un editoriale senza filtro.
E mentre il cardinale Giovanni Battista Re presiederà la Veglia Pasquale, ci arriva un bel ritmo di deleghe che scivola nel silenzio. Non è solo organizzazione: è visione. La Chiesa non è un’armeria dottrinale. È un pronto soccorso, e il Papa è l’unico che pare ricordarsene.
Questa visita è un colpo di spugna sul clericalismo autocelebrativo. È una secchiata d’acqua santa in faccia ai benpensanti. Chi ha ridotto la religione a una collezione di orpelli, qui si troverà spiazzato come un parroco davanti a TikTok.
Il gesto del Papa è potente, altro che gita spirituale. È un “vaffa” santo a chi vuole il Vangelo ben piegato nella credenza. E mentre ci arrampichiamo su liturgie sofisticate, lui fa la cosa più semplice e cristiana: va dove c’è sofferenza. Sì, proprio lì.
Non sarà certo la Festa di Pasqua a farci dimenticare chi soffre dietro le sbarre. Ma forse questo Giovedì Santo potrà servire più di cento omelie infiocchettate. E no, non per convertire chi è lontano, ma per sgonfiare l’ego di chi si crede già arrivato.
La vera essenza del cristianesimo è abbraccio, non scomunica. Misericordia, non paludamento. E finché qualcuno storcerà il naso di fronte a un Papa che si sporca le mani, vorrà dire che abbiamo ancora bisogno di essere evangelizzati.