Giubileo dei malati e la sanità: tra buone intenzioni e realtà distorte

Un palco di buone intenzioni

È in corso il Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità, una kermesse di oltre 20.000 pellegrini che si radunano e si sollevano da ogni angolo della Terra per celebrare la (presunta) *umanizzazione delle cure*. Il mondo della salute si riunisce in un tripudio di buona volontà, mentre i medici, gli infermieri e i pazienti si uniscono in una sorta di cerimonia collettiva di metamorfosi. Ma cosa ci troviamo ad applaudire, esattamente?

In piazza della Chiesa Nuova e a San Salvatore in Lauro, la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) ha predisposto stand per screening e prevenzione, come a dire: “Siamo qui per aiutare i più piccoli e le loro mamme!” Ma perché ci sorprendiamo? Verrebbe da chiedersi. È pur sempre il lavoro di coloro che ogni giorno, con pazienza infinita, si prodigano per ridurre le sofferenze. O no?

La carezza della cura o l’ipocrisia della compagnia?

Il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Anelli, si è espresso a questo modo: “La carezza della cura che diventa sollievo dell’anima”. Ma quanto suffragano queste affermazioni la realtà che vivono quotidianamente i pazienti? Se la cura fosse davvero una carezza, la sanità non si sarebbe trasformata in un campo di battaglia tra malattie e liste d’attesa, tra diritti e necessità.

Il ministro della Salute, Schillaci, si è lanciato in un appello accorato: “Rimettere i malati al centro, umanizzare le cure”. Sì, perché il malato è per definizione un elemento marginale negli ingranaggi ben oliati della sanità. Centra la questione, ma se l’uomo d’oggi dovesse giudicare, sorge spontaneo un dubbio: siamo certi che le parole pronunciate in questo contesto toccano realmente il cuore della questione?

Il sipario si apre, le promesse si sprecano

Il Giubileo è un palcoscenico perfetto per una sceneggiata di buone intenzioni, dove ognuno sembra avere un copione scritto con la penna dell’ideale. Cosa ci possiamo aspettare da un evento che promette il riscoprire il senso vero della cura? Filo conduttore della narrazione: un equilibrio tra il sacro e il profano, tra la medicina e l’umanità. Ma attenzione, non lasciamoci ingannare. Non ci si può illudere che un evento di questo tipo possa risolvere i problemi reali della sanità, che sono ben più complessi di una messa celebrata per il bene dei malati.

Le parole di Anelli, che dipingono gli operatori sanitari come angeli custodi del dolore, ci fanno quasi dimenticare che, in effetti, la loro professione è tutt’altro che romantica. Gli infermieri, con le loro tute blu, sono lì a combattere il disinteresse e la stanchezza di sistemi che sembrano essersi dimenticati del loro compito fondamentale. Vengono messe in piazza le loro lotte quotidiane, eppure sarà sufficiente una carezza per colmare il vuoto di ascolto, di supporto e di dignità spesso negato?

Il Giubileo diventa così un grande palcoscenico, un’opportunità per esercitare il marketing della medicina, dove la vulnerabilità dei malati è sfruttata per dipingere un’immagine positiva di un sistema che, nel quotidiano, è afflitto da ritardi, carenze e, per non farsi mancare nulla, anche polemiche.

Cure umane in un mondo inumano?

Ma torniamo alla genuinità del messaggio. Riscoprire il senso vero della cura: parole belle, davvero, ma nella pratica? I pazienti cercano cure umane in un sistema che spesso sembra più una catena di montaggio. La sanità è la culla dell’umanità, eppure ci si rende conto, giorno dopo giorno, di come il malato sia diventato solo un numero in un elenco infinito. Una figura triste, da inserire in un database, piuttosto che una persona da ascoltare.

Il Giubileo degli ammalati potrebbe trasformarsi nel giusto palcoscenico per un profondo dibattito sulla salute pubblica, sulle disparità che attanagliano il mondo sanitario. Invece, lo si riduce a una celebrazione che raramente riesce a cambiare le cose, e troppo spesso serve solo a “lavare” l’immagine di un sistema che di umanità ha ben poco. In un mondo dove il profano supera il sacro, ci si interroga su quanto si possa continuare a parlare di umanità quando le evidenze ci mostrano un panorama ben diverso.

Un appello che sembra cadere nel vuoto

Allora, mentre le schiere di professionisti della salute si danno da fare in piazza, che speranze possiamo coltivare? La risposta non è semplice, eppure l’unico richiamo alla umanizzazione pare essere una boutade. Le parole pronunciate dai protagonisti di queste celebrazioni, sebbene ricche di buone intenzioni, si scontrano quotidianamente con la realtà di una sanità che ancora fatica a mettere *l’essere umano* al centro.

No, non sarà un Giubileo a salvare la sanità italiana. Non saranno delle belle parole a trasformarsi in cure efficaci. Non sarà un evento celebrativo a risolvere le critiche incessanti di un settore in perenne crisi. In un Paese dove la cura è tanto un diritto quanto un privilegio, ecco il vero crocevia: la giustizia sanitaria, spesso confusa con una celebrazione religiosa, ha bisogno di più di un semplice applauso. Ha bisogno di azione, di riforme, di ascolto. Forse, proprio in questo Giubileo, varrebbe la pena di riscoprire il senso vero della cura. E, chissà, magari, quella carezza di cui parlava Anelli potrebbe finalmente diventare un gesto concreto.