in Conferenza Episcopale Italiana, Sinodo

Sinodo della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), tra assonanze e dissidenze

È interessante come l’assemblea sinodale italiana, tenutasi tra il 31 marzo e il 3 aprile, abbia messo in scena un dramma che ricorda le ribellioni storiche, da Versailles al “Gioco del Trono”.  

 Mentre i vescovi e laici si riuniscono sotto l’egida di un “cammino sinodale” che promette ascolto e rinnovamento, i media, in maniera del tutto casuale, hanno dipinto il quadro di una Chiesa ferma su temi caldi come quelli delle donne e dell’omosessualità. E qui si presenta un’interrogativo: si tratta di una rassegnazione complice o di un’intollerabile ignoranza?

Il presidente del Comitato nazionale del cammino sinodale, mons. Erio Castellucci, fa notare come i media abbiano creato interpretazioni «apocrife», per non dire creative. E mentre il mondo attende un nuovo messaggio dalla Chiesa, i giornalisti estraggono dall’arsenale retorico i vecchi cliché. Ma chi ha bisogno di verità quando si può sparare titoli ad effetto? La verità è che i media non hanno accesso ai documenti e quindi interpretano liberamente, seguendo l’onda del sensazionalismo. Come se bastasse creare confusione per stimolare l’interesse.
“Sembra scritto 40 anni fa”, è il commento che ha caratterizzato la bocciatura del testo finale dell’assemblea. Chi avrebbe mai pensato che la Chiesa potesse trovarsi ancora a dibattere su temi che sarebbero dovuti essere superati da decenni? Non è che ci sia una mancanza di volontà di ascolto o di apertura, ma piuttosto una crisi di adattamento tra una bolla ecclesiale ancora intrisa di tradizione e un mondo che avanza a ritmo serrato.

Ascolto o Subordinazione?

La domanda cruciale è: l’assemblea ha mostrato una Chiesa intelligente, costruttiva e creativa, oppure ha messo in luce una Chiesa intrappolata in un eterno ciclo di ascolto senza azione? La retorica di mons. Castellucci ci invita a riflettere su un mondo che cambia, ma non ci offre risposte determinanti. È il famoso mantra papale del “cambiare idea” che, purtroppo, sembra essere più una boutade che una reale proposta di rinnovamento. Si ascoltano le voci, ma poi le voci spariscono nel buco nero della burocrazia ecclesiastica.
  • La sinodalità viene proclamata come un grande valore, mentre i documenti che emergono dal sinodo vengono considerati “troppo vaghi e generici”.
  • I laici, in maggioranza donne, esprimono la loro volontà di cambiamento, ma si trovano di fronte a un vertice ecclesiastico che non riesce a cogliere le loro esigenze.
  • Il Papa promuove un dialogo aperto, eppure la base continua a lanciare strali contro una gerarchia che sembra distante.
Insomma, la ricetta per il rinnovamento della Chiesa è nota ma, come sempre, inapplicata. Ed è qui che scatta il sarcasmo. È come se ci trovassimo in un circolo vizioso: il Sinodo chiede ascolto, i fedeli chiedono cambiamento, ma quando le proposte arrivano, si ritorna al punto di partenza.

Il rinvio come ,mantra
Non sorprende che, come se nulla fosse, l’assemblea sia stata rinviata per ulteriori approfondimenti. Un “rinvio eccezionale” per raccogliere emendamenti e rilievi. Perché rispondere subito quando si può rimandare? La strategia del “rimandiamo a novembre” serve a mantenere in vita un dibattito che, nella realtà, non produce risultati. È l’eterno gioco dell’oca della Chiesa: un passo avanti, due indietro.
La Chiesa desidera “sintonizzarsi con gli interrogativi odierni”. Fea bene! Ma quali interrogativi? Quelli di chi si preoccupa di come i temi della famiglia vengono trattati nei circoli ecclesiastici o di chi chiede un vero cambiamento nella leadership femminile? Qui, c’è poco spazio per una fede autentica che cammini con le gambe della verità. La rinnovata esigenza missionaria sembra essere più un’illusione che una realtà, quanto meno per chi ha una visione chiara del Vangelo.

Fedeltà alla Verità

Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, si affanna a sottolineare che il Sinodo non è un Parlamento. Certamente, non lo è, ma la sensazione è che, nel momento in cui si parla di Sinodo, ci si stia riferendo a un mondo di dibattiti accademici piuttosto che a un’applicazione reale del Vangelo. La fede diventa un come dire un abito che si adatta ma che non si indossa realmente. Una religiosità che cerca la sua evoluzione senza mai toccare il sacramento della verità.
Oggi, la Chiesa è chiamata a ripensare la sua missione alla luce di una società che avanza a passi da gigante. Ma quando l’assemblea sinodale viene percepita come un terreno di scontro tra ortodossia e modernità, c’è qualcosa che non torna. La Chiesa può essere moderna senza abbandonare la verità, ma è la verità che deve rimanere al centro, non i compromessi temporanei.
Concludiamo con un inno alla consapevolezza. Non basta organizzare assemblee per dimostrare che la Chiesa è viva. È l’azione che deve seguire l’ascolto. Se non si riesce a passare dalle parole ai fatti, il rischio è di ritrovarsi a danzare nel vuoto, in una Chiesa che non è in grado di affrontare le sfide della modernità. In un’epoca in cui la secolarizzazione avanza, la religiosità che si adatta diventa l’ennesima forma di rilettura della fede, una fede immatura e superficiale.

Il compito di un Sinodo non è solo ascoltare, ma anche avere il coraggio di cambiare e, soprattutto, di rimanere fedeli alla Verità svelata. La Chiesa non può permettersi di essere una complice silenziosa dell’indifferenza. Ha il dovere di risvegliare le coscienze, di sfidare le abitudini, di rimettere al centro il Vangelo. Solo così potrà sperare di non diventare un ricordo sbiadito in un mondo che corre.
In attesa del nuovo incontro di novembre, resta da chiedersi se, in fondo, non stiamo solo assistendo a un altro capitolo di questo “gioco” che è il Sinodo, o se davvero si intravede la possibilità di un cambiamento autentico che sfidi le mode passeggere e riconduca a una fede profonda e consapevole.

La verità, cari lettori, è che l’assemblea sinodale è molto più di un’opportunità di ascolto: è la chance di riscoprire una tradizione che ha molto da insegnare, lontano da ogni apparenza.