Il 16 aprile 2025, Papa Francesco ha messo in scena un altro atto di grande spettacolo, che per alcuni sarà un gesto di opportuna riconoscenza, per altri una scossa di realtà. Ha incontrato i vertici e il personale del Policlinico Gemelli di Roma, quelli che lo hanno accudito nei momenti di fragilità. Incontri come questi li abbiamo già visti tante volte: il Papa con il personale sanitario. Ma stavolta è diverso, perché lo fa con una voce affaticata, un chiaro segnale di vulnerabilità. Eppure, ci viene in mente quella battuta pungente sul comando femminile: “Quando comandano le donne, le cose vanno”. D’altra parte, che volete farci? Ogni tanto dà anche un po’ di valore a chi lavora dietro le quinte, sfidando le rigidità del passato.
In un’atmosfera di cordialità spaesante, affollata di medici, infermieri e amministratori, una trentina di lampadine hanno illuminato la stanza e generato una sensazione di calore. Non è la prima volta che si celebra la devozione dei medici, ma vederlo così, con il volto stanco e le spalle vistosamente piegate dal peso della sua carica divina, fa riflettere. Si respira un’aria di speranza, ma anche di responsabilità, di quello che la Chiesa dovrebbe essere: umana. È un ciliegio che fiorisce nel deserto della rigidità dogmatica.
Il chirurgo Sergio Alfieri ha avuto l’ardire di dire che il Papa sta bene. Fabbrica di ottimismo. Ha sottolineato il desiderio di Bergoglio di ringraziare chi lo ha assistito. Un gesto, sì, ma anche una testimonianza. Se gli alti prelati si trovassero ad abbandonare, anche solo un attimo, quella loro abitudine ad essere dei santi distaccati e cominciassero a guardare la realtà degli uomini con occhi umani, forse ci sarebbe qualche spiraglio di luce in questo buio vaticano.
Francesco ha messo in discussione il concetto tradizionale di Chiesa impermeabile. Il suo gesto da redivivo è una riprova che non sempre si deve restare arroccati nel tempio dell’infallibilità. E mentre il presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Gemelli, Daniele Franco, si affrettava a porgergli gli auguri per Pasqua e una pronta guarigione, il Papa ha chiesto preghiere per la sua salute, conferendo all’evento una dimensione quasi messianica. Un modo come un altro di dar da pensare a chi crede che i tempi da dedicare alla santità debbano rimanere chiusi in un monastero.
La scena si fa interessante quando il Pontefice inizia a pregare per ognuno dei presenti, rompendo il ghiaccio della cerimonia. La sua carica umana viene a galla e, in quel momento, ci si ricorda che la fede non è solo un concetto da discutere a porte chiuse, ma un rapporto pulsante e vivo con le persone, specialmente quelle in uniforme bianca, cariche di responsabilità e di doveri difficili. Quelle mani che curano, a volte rasente al rischio, meritano più dell’applauso estemporaneo di qualche cerimoniale.
Certo, il gesto non è innocente. Si inserisce in un contesto di opposizione alla chiusura della fede alle realtà sociali. Rappresenta una Chiesa che, anziché rimanere distante e solenne, decide di abbracciare l’umanità, promuovendo un messaggio di inclusione e unità. Il Papa dimostra che la Chiesa può danzare sulle note della modernità senza cadere nel baratro dell’irrazionalità. Fa un balzo in avanti, invitando a non «restare impermeabili», come dicono molti, ai cambiamenti culturali del mondo attuale.
Scriverla così, ruvida e sincera, è necessario. Così, affrontiamo il tema della leadership femminile in maniera diretta. Ecco, il Papa la sdogana, e lo fa in modo ironico. Riconosce il valore e la determinazione delle donne in un’epoca in cui si fanno battaglie per la parità. Di certo, non è solo un affettuoso spot elettorale, ma un chiaro messaggio contro le pratiche ottocentesche che vogliono relegare le donne a un ruolo secondario. È il risultato di una Chiesa che si riscopre inclusiva, mettendo da parte la rigidità di chi la interpreta in maniera monolitica e conservatrice.
E concludendo, è evidente che il vero messaggio di Bergoglio è chiaro: la fede non può esistere in un vuoto astratto. Deve tradursi in reali relazioni umane. Non basta pregare, bisogna anche scendere in campo, e questo Papa lo sa bene. Fa il suo ingresso nel mondo della sanità con un abbraccio e un sorriso, mentre chi sedeva al suo fianco apprezzava il calore di un gesto che, in fondo, parla più di mille encicliche scritte nel lusso di una stanza pubblica.
In questo modo, il gesto di Francesco si erge come una fiamma nel buio, illuminando le ombre della rigidità e creando spazi per la riflessione. Non restiamo perciò incastrati in schemi ideologici, chi fa rumore, chi si arrabbia, chi plaude o chi fischia: quello che conta è l’essere umani, prima di tutto