Papa Francesco a Regina Coeli: il Papa entra nel fango, dove alcuni cardinali non osano

Papa Francesco a Regina Coeli: il Papa entra nel fango, dove alcuni cardinali non osano

Il Giovedì Santo, un giorno qualsiasi per molti, ma non per Papa Francesco. Oggi, il Pontefice ha fatto visita ai detenuti di Regina Coeli. Un gesto, si dirà. E invece no. È un atto di umanità concreta, non da salotto vaticano. Un’umanità che molti nel clero, purtroppo, hanno perso di vista tra porpore e incensi. Chi pensa che la Chiesa non abbia nulla a che fare con i reclusi, sbaglia di grosso. Il Papa scende nelle fogne della società, là dove vive chi si è smarrito. E lo fa con la stessa determinazione di uno che ha capito che la fede non è un palinsesto RAI, ma una lotta corpo a corpo col dolore.

Arriva a bordo di una Fiat 500 bianca — non proprio una papamobile blindata. E non è una posa. È fuga dalla mondanità di una Chiesa che, diciamocelo, ha spesso flirtato con le comodità del potere. Il suo arrivo è un piccolo terremoto. I detenuti lo accolgono con ovazioni: “Francesco! Francesco!”, gridano, come se fosse il loro unico spiraglio di cielo. Sarebbe interessante sapere cosa cantano nelle celle. Ma oggi non è il giorno dei sarcasmi facili. Oggi è il giorno del Papa, e quel grido è un sussulto d’umanità che spezza il silenzio dei muri.

Poi parla. “A me piace fare ciò che ha fatto Gesù il Giovedì Santo, la lavanda dei piedi, in carcere. Quest’anno non posso farlo, ma posso e voglio essere vicino a voi.” Non è pietismo. È un colpo dritto al cuore di chi considera i peccatori come rifiuti tossici. “Io prego per voi e per le vostre famiglie.” Punto. La Chiesa, per Francesco, non è un’istituzione cerimoniale, ma un pronto soccorso spirituale. Un ospedale da campo — che però molti prelati vorrebbero trasformare in un museo delle cere.

Certo, il suo stato di salute preoccupa. Va avanti senza ossigeno, con la fatica stampata sul volto. Eppure, eccolo lì, tra i dimenticati. Un gesto che grida audacia. La direttrice del carcere, Claudia Clementi, parla di “luce di speranza”. E chi lo avrebbe mai detto? Una Chiesa che si illumina nei sotterranei dell’umanità. Miracolo? No, basta volerci stare davvero, lì sotto.

Padre Vittorio Trani, cappellano del carcere, lo dice chiaro: “Il volto di Papa Francesco è segnato dalla sofferenza e dalla malattia.” Non è retorica. Il Papa sa cos’è il dolore, lo mastica. E non predica misericordia senza averne respirato la polvere. È qui che la fede si fa carne, non nella liturgia in punta di piedi.

Francesco non si limita a benedire. Vuole ascoltare. Dedica tempo. Non sono numeri o schede anagrafiche, sono esseri umani. E lui li tratta come tali. Vangeli e rosari distribuiti non come gadget pasquali, ma come strumenti di salvezza per chi vuole ancora credere. Chi si aspettava ori e baldacchini è rimasto deluso: niente pompa magna, solo pane duro e verità.

E poi la frase, quella che spacca: “Come vivrò la Pasqua? Come posso.” Ecco l’uomo, non il monarca. La sua Pasqua non è una processione trionfale, ma un cammino zoppicante. Ogni sofferenza, ogni ombra, ogni lamento diventa parte viva del mistero pasquale. A questo punto, viene da chiedersi: che idea abbiamo della Chiesa? Una fortezza normativa? Un distributore automatico di sacramenti? O, forse, un luogo dove anche i disgraziati hanno diritto a un abbraccio? La risposta ce la dà lui, Francesco, senza gridare. La sua visita è un pugno nello stomaco ai benpensanti: la Chiesa non è un condominio esclusivo. È un rifugio per anime a pezzi.

La vera fede non profuma di incenso, ma di fatica e carne umana. La Chiesa vera, quella che Francesco prova a incarnare, è una che cammina nel fango, che si fa carico, che tocca la pelle screpolata di chi è stato buttato via. E a chi storce il naso, forse è ora di ripassare il Vangelo.

La visita a Regina Coeli è più di una visita. È un urlo. Una dichiarazione di guerra all’indifferenza. Il Papa non guarda il cielo sognando l’eternità. Guarda negli occhi chi l’eternità l’ha smarrita. E quel gesto, stanchi o no, dovremmo scolpirlo nella memoria.