Carlo Acutis, il “primo santo millenial”, sarà proclamato santo il 27 aprile 2025. Ma chi è davvero questo ragazzo che ha osato mescolare fede e tecnologia in un mondo dove la Chiesa troppo spesso assomiglia a un vecchio grammofono che suona solo musica d’altri tempi? Carlo è il giovane milanese che, purtroppo, ci ha lasciato troppo presto, nel 2006, a soli 15 anni, a causa di una leucemia fulminante. Ed è affascinante, sì, ma pure scomodo, pensare che la sua vita, breve ma intensa come un pugno nello stomaco, possa insegnarci più di mille prediche domenicali. Non siamo qui per una melensa celebrazione: questa è un’autopsia spirituale sull’incapacità cronica della Chiesa di affrontare la realtà a volto scoperto.
Nichelino Online ci racconta che Carlo era un appassionato di informatica, un vero genietto digitale, che scriveva del suo amore per l’Eucaristia come oggi si scrive di una startup che ha appena ricevuto 10 milioni di finanziamento. Ha creato una mostra sui miracoli eucaristici che ha fatto più tour mondiali di Madonna, ma senza twerk e senza lustrini. Qui la modernità non è una bestemmia, ma un megafono. Ecco perché il suo esempio fa tremare le fondamenta di una Chiesa stanca, che ancora si chiede come parlare ai giovani mentre questi parlano già un’altra lingua.
Ma di cosa stiamo parlando davvero? Di fede? O di archeologia liturgica? Il memoriale digitale dedicato a Carlo Acutis non è solo un gingillo tech per devoti nerd. È stato realizzato con intelligenza artificiale. Sì, AI e fede, roba da far saltare le coronarie a più di un monsignore incartapecorito. Questo memoriale sarà un omaggio della città di Milano, pensato per raccontare la vita di un ragazzo che ha preso a calci la tristezza e ha detto sì alla malattia come un eroe epico direbbe sì alla sua missione. Sette mila giovani andranno a Roma per la canonizzazione. Speriamo non solo per selfie col Papa.
In un mondo in cui la fede sembra più un hashtag dimenticato che un bisogno vitale, Carlo Acutis arriva come un virus benevolo, capace di infettare con speranza. La sua voce, riprodotta in 27 lingue, farà tremare le nicchie polverose del Vaticano. I baroni del sacro temono che un ragazzino col PC in spalla faccia saltare il banco. Ma magari servono proprio questi hacker della fede per ricostruire il tempio. E per una volta non a colpi di incenso.
La madre di Carlo, Antonia Salzano, ha detto: “Sono stata uno strumento, un dono che Dio mi ha fatto”. E Dio, in questo caso, si è ricordato di premiare i cuori semplici. Ma quanto è difficile oggi riconoscere il dono nella voce di un figlio che non c’è più? In mezzo a un mondo che idolatra i follower, Carlo è diventato influencer dell’invisibile. Il memoriale digitale non è una trovata da Biennale, ma un grido tecnologico di spiritualità autentica. E la Chiesa, poverina, è ancora lì che cerca il Wi-Fi del sacro.
La canonizzazione si terrà durante il Giubileo degli adolescenti, con settemila giovani da Milano come una processione laica in sneakers. Ci sarà chi scatta foto, chi piange, chi si annoia. Ma qualcuno, forse, tornerà a casa diverso. Le parrocchie ci provano, organizzano pellegrinaggi e dirette Instagram, ma il problema è uno: i giovani hanno fame di verità, e spesso la Chiesa gli serve solo minestra riscaldata.
Carlo Acutis non è un santino da portafoglio. È un santo operativo. Un ragazzo che ha messo mani e cervello al servizio della fede. Ha creato contenuti, non omelie. Ha lanciato messaggi, non anatemi. Il clero dovrebbe prendere appunti, altro che pontificare dai pulpiti. Lui ha dimostrato che evangelizzare non significa fossilizzarsi, ma trasformarsi.
La sua figura apre spiragli nuovi. La spiritualità non è solo un discorso tra gesuiti col PhD. È un abbraccio concreto, un’azione che parla di ferite vere e dolori quotidiani. O la Chiesa scende dal trono, o perde il pubblico. Semplice. E un memoriale digitale non è un giocattolo, è una possibilità: parlare ai giovani nel linguaggio che capiscono, non in quello che il clero si ostina a usare.
Carlo lo sa. Per questo la sua immagine è entrata negli ospedali, dove la fede non è retorica, ma bisogno. Dove i malati cercano conforto, e i giovani cercano un senso. Ma troppe volte sembra che la religione entri dalla porta solo per fare presenza, senza coinvolgere davvero. I giovani non sono polli da catechismo: vogliono sentirsi parte, vogliono costruire, non solo pregare.
Evangelizzare oggi è un mestiere da artigiani coraggiosi. La vera rivoluzione proposta da Acutis è questa: usare la spiritualità come una chiave che apre porte, non come una serratura che le chiude. Parlare ai giovani con parole che toccano. Andare oltre la riunione parrocchiale e costruire dialoghi reali. Ma per farlo, servono viscere e visione. E meno paura.
Carlo ci ricorda che dalla sofferenza può nascere una nuova Vita, maiuscola. La vera sfida è renderlo credibile oggi, nel casino di questo presente. Trovare il coraggio di costruire comunità vive, non solo liturgie. Spazi dove i giovani possano dire la loro senza essere zittiti dal primo parroco rigido che passa.
Serve coraggio, appunto. Perché la Chiesa non può continuare a starsene lì, murata nella sua torre d’avorio, mentre il mondo si incendia. Se non si decide a cambiare passo, a mettersi in discussione, a scendere per strada… allora è finita. E i nuovi credenti? Li troverà su TikTok, a scrollare in silenzio il video di un memoriale digitale diventato virale. Che beffa.
Il memoriale di Carlo Acutis non è solo tecnologia con l’aureola. È una sveglia. Un avvertimento. Un ultimatum. La sua canonizzazione non è la fine, è un inizio. Un’occasione per parlare davvero ai giovani. Per fare meno rumore e più ascolto. Per mettere da parte le formule e tornare al cuore. Se la Chiesa non lo capisce ora, non lo capirà mai più. E sarà troppo tardi. Il mondo corre. E lei, ancora lì, ferma.