Il 21 giugno 1957, Manila ha dato i natali a un giovane destinato a fare molta strada e a farsi notare non per la tonaca, ma per la stoffa. Luis Antonio Tagle, con origini che mescolano il patrimonio tagalog e cinese, cresce in un contesto in cui la fede convive con un certo gusto aristocratico da salotto coloniale spagnolo. Insomma, pedigree interessante, cervello fino. Con una formazione teologica di prim’ordine all’Ateneo de Manila e alla Catholic University of America, Tagle ha impilato titoli e competenze come fossero mattoncini Lego, preparando il terreno per una carriera ecclesiastica da protagonista.
Ordinato sacerdote nel 1982, la sua vita prende una piega decisiva quando Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Imus nel 2001. E da lì, è un’ascesa da manuale. Nel 2011, Benedetto XVI lo piazza a capo dell’arcidiocesi di Manila e un anno dopo lo eleva al rango cardinalizio. Ma non è solo il titolo a far rumore. Quando Papa Francesco lo nomina Prefetto per l’Evangelizzazione dei Popoli nel 2019, il messaggio è chiaro: ci vuole uno con la lingua sciolta, il cuore aperto e lo sguardo lungo. Uno che sappia parlare al popolo, e non solo ai sagrestani.
Oggi, in un clima a dir poco da bollettino di guerra spirituale, ci si prepara al Conclave del 7 maggio, mentre il mondo cattolico piange Papa Francesco. Si parla, si scrive, si vocifera, e in mezzo a questo brusio di cardinali e profezie, il nome di Tagle rimbalza come una pallina impazzita. C’è chi lo chiama “il Francesco asiatico”, soprannome che già la dice lunga su ciò che si spera (o si teme).
La sua attitudine è chiara: niente troni dorati, ma scarpe sporche di polvere. Tagle ha sempre avuto l’occhio attento per le periferie, le vere, non quelle da omelia domenicale. Empatia e dialogo sono la sua grammatica pastorale. Un tipo che non fa l’educanda, ma nemmeno il crociato. Semplicemente, un uomo di Chiesa che ha capito che oggi il Vangelo va raccontato come una storia che riguarda tutti, anche chi sta alla finestra.
Ma il mondo, si sa, non è un luogo tenero. Nel 2019, un video in cui canta “Imagine” di John Lennon (con tanto di sorriso e chitarra) fa il giro del web. Scandalo! “Un cardinale che canta l’elogio di un mondo senza religioni!”. Peccato che Tagle quella strofa l’avesse saltata. Ma si sa, il tribunale social non conosce appello. Con oltre 600 mila follower, è uno dei porporati più “social” del pianeta. E anche questo, nel bene e nel male, fa curriculum.
Inevitabile poi parlare della grana Caritas Internationalis. Sotto la sua guida, l’organizzazione viene commissariata nel 2022. Una stangata? Forse. Ma non un disastro personale. Tagle ne esce con qualche graffio e la solita domanda appesa: può un uomo capace di empatia essere anche un abile gestore? Domanda che pesa, ma che non basta a cancellare l’impronta.
Le scommesse sul futuro papa sono già in piena corsa. I bookmakers lo piazzano secondo dopo Parolin, con una probabilità del 21%. Nomi ne girano a bizzeffe: Zuppi, Pizzaballa, perfino qualche outsider. Ma Tagle si muove come un equilibrista: progressista quanto basta da parlare ai giovani e alle minoranze, ortodosso su aborto e contraccezione. Non un rivoluzionario con la mitraglia, ma neanche un conservatore con l’incenso sempre acceso. Un prete, non un doganiere.
Nel frattempo, prepara (forse) la visita alla Basilica di San Pellegrino a Forlì il 24 maggio. Ma se il Conclave lo chiama, addio piadina e saluti. Il fatto resta: anche nei momenti più incerti, il dialogo locale resta per lui centrale. Un segnale.
In definitiva, Luis Antonio Tagle è una figura che divide ma affascina, proprio perché non è una statua da portare in processione. È vivo, presente, talvolta troppo umano per piacere ai rigidi, ma proprio per questo capace di guidare una Chiesa che ha smesso di essere l’unica voce e deve imparare ad ascoltare. Tagle lo sa: oggi non si comanda, si accompagna. E chi accompagna, deve saper camminare. Anche a costo di sporcarsi le scarpe.