Conclave 2025: Péter Erdő il cardinale che piace anche ai nemici

Conclave 2025: Péter Erdő il cardinale che piace anche ai nemici

Il 21 aprile 2025 è una data che non possiamo dimenticare facilmente. Mica roba da trafiletto. Il mondo ha salutato Papa Francesco, un pontefice che ha diviso come il cappuccino col latte: o lo ami o non lo digerisci. A ottantotto anni, ha lasciato la scena e con lui se ne va un pezzo grosso di Storia. Ora la Chiesa si prepara al Conclave del 7 maggio, e già si sente il profumo — o la puzza, secondo i punti di vista — del potere che cambia mani. E come in ogni saga vaticana che si rispetti, spuntano figure chiave. Una su tutte: Péter Erdő.

Chi è costui? Semplice: un ungherese classe 1952, cresciuto a pane, fede e dissidenza. Primo di sei figli, mica uno che nasce col cucchiaio d’oro ma nemmeno sotto un ponte. Figlio di intellettuali cattolici in pieno regime sovietico, ha respirato censura e resilienza già nel latte materno. Quando da piccolo vedeva sfilare i carrarmati russi, capiva che la libertà costa cara. E non dimentica.

Ordinato sacerdote nel 1975, si è fatto le ossa sul campo, da viceparroco a docente universitario. Poi la scalata: nel 2002 arcivescovo di Esztergom-Budapest, nel 2003 cardinale. In breve: uno che non si è fatto trovare impreparato. Non è il prete del paese, ma nemmeno il principe della curia. È un pezzo da novanta che studia, ascolta, e agisce. E oggi è uno dei nomi più sussurrati nei corridoi sacri.

Ma andiamo al sodo: Erdő è sì un conservatore, ma non uno di quelli che odiano tutto ciò che si muove. Non è il tipo che si chiude nella sacrestia a rimpiangere il latino. Ha l’aplomb del professore e la concretezza dell’uomo di Chiesa che non fa il gendarme, ma neanche lo psicologo da talk show. Tiene il punto, ma sa trattare. E questa, nel bordello diplomatico del Vaticano, è una dote che vale oro.

Tra un Sinodo sulla famiglia e una Conferenza episcopale, Erdő ha imparato a navigare i flutti. È stimato anche da chi non la pensa come lui. Incredibile ma vero: riesce a parlare con i progressisti senza farsene fagocitare, e a rassicurare i tradizionalisti senza finire nella muffa.

Ora, mentre il Conclave si avvicina, c’è fermento. E che fermento. Sottobanco girano pressioni più che in una riunione condominiale: pare che Macron, il presidente francese, abbia avuto da ridire sulle tendenze troppo conservatrici, cercando di manovrare i cardinali transalpini. Non bastava la politica italiana, ora ci si mette anche quella europea a fare gli equilibristi tra i banchi della fede.

Eppure, i numeri parlano chiaro: all’appuntamento entreranno in Cappella Sistina circa 135 cardinali, e quasi l’80% porta il timbro di Francesco. E qui scatta il gioco dell’equilibrio. Se molti sono figli del vento riformista, Erdő si propone come quella figura in grado di non far saltare in aria la baracca. Né troppo acqua santa, né troppo incenso: un candidato di “buon peso”, come si direbbe al mercato, ma senza sconti sulla sostanza.

Le elezioni? Potrebbero richiedere cinque, sei, magari otto fumate. Nel frattempo, fuori, cronisti e credenti seguiranno il teatrino con la stessa attenzione con cui si guarda una finale dei Mondiali: speranza, tensione, e una valanga di interpretazioni.

Erdő è uno di quei nomi che ricorre come il prezzemolo. È lì, sulla bocca di tutti, anche se pochi ne parlano ad alta voce. Ma nel gioco delle alleanze — che non ha nulla da invidiare a un congresso di partito — ogni mossa può fare la differenza. Chi oggi ti stringe la mano, domani ti scava la fossa. Si sa.

E se da una parte Erdő costruisce ponti, dall’altra deve schivare le mine disseminate da chi vuole chiudere le porte in faccia al dialogo. Sia chiaro: non parliamo di una Chiesa semplicemente divisa, ma di un mondo che ha fame di equilibrio, e non di rigidezza. Le ideologie hanno stancato anche tra le tonache. E chi non lo capisce, beh, rischia di restare a guardare dal balcone.

Cos’è la Chiesa, se non una casa dove la convivenza è obbligatoria? Erdő, con la sua esperienza e un pragmatismo ben temperato, potrebbe incarnare proprio quella leadership che unisce senza soffocare. Non sarà un rivoluzionario, ma non è neanche un burocrate col rosario nel taschino e il regolamento sotto braccio.

E questa, se mi permettete, è già una gran bella notizia. In un’epoca dove persino il cielo viene messo in discussione, servono uomini che sappiano distinguere tra tradizione e nostalgia. Erdő pare avere gli occhi abbastanza aperti da capire che comandare non vuol dire imporsi, ma guidare. E oggi, di guide vere, ce n’è un bisogno disperato.

Dunque, mentre il mondo aspetta la nuova fumata, tenete d’occhio questo ungherese che ha l’aria del professore, la testa del diplomatico e l’anima del combattente. Forse, proprio in mezzo a tutto questo bailamme, la Chiesa troverà in lui un uomo capace di non farla a pezzi. Perché di papi che spaccano ce ne sono stati troppi. Forse è il momento di uno che tenga insieme. O almeno ci provi, con santa ostinazione.