in Chiesa Italiana

Quando l’algoritmo diventa inquisitore: il caso del blog messainlatino.it

Venerdì 11 Luglio, un mattino come tanti ma destinato a lasciare il segno nel mondo cattolico conservatore, è calata la mannaia digitale. Il blog messainlatino.it — attivo dal 2007, nato all’ombra benedetta del Summorum Pontificum di Benedetto XVI — è stato fatto sparire dalla piattaforma Blogger, gestita da Google (con la solita freddezza glaciale da contabile: “Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso.” Poche righe, manco fossimo all’ufficio oggetti smarriti. Fine. Nessuna spiegazione. Nessun appello.

Ma attenzione, non stiamo parlando di una paginetta letta da quattro gatti. Questo blog era, anzi è ancora nella memoria collettiva, il punto di riferimento italiano per chi ama, segue e difende la Tradizione cattolica. Un blog seguito da oltre un milione di utenti (il mese scorso), ricco di articoli, analisi, dibattiti — tutto documentato, argomentato, con tono sobrio e mai sguaiato. Insomma: un presidio culturale, una lanterna accesa in tempi di nebbia liturgica e pastorale.

Di cosa trattava? Di tutto ciò che nel mondo cattolico brucia sotto la cenere: dalla benedizione delle coppie omosessuali (rigettata da interi episcopati), al diaconato femminile, al celibato sacerdotale. Temi scomodi, certo. Ma trattati con rispetto, serietà, e senza cedere alla moda dell’insulto facile. E allora ci si chiede: cos’è che avrebbe fatto saltare la mosca al naso di Google?

La risposta ufficiale è la solita formula opaca: “hate speech”. Una locuzione talmente elastica che può contenere di tutto, perfino la citazione del Catechismo. Nessun passaggio incriminato viene indicato, nessun contenuto segnalato. Solo il verdetto: colpevole. Ma di cosa?

La realtà, per dirla senza troppi giri di parole, è che non si punisce più ciò che si dice, ma come viene percepito. E se qualcuno si “offende”, scatta il taglio. Altro che libertà di pensiero garantita dall’art. 21 della Costituzione. Siamo al trionfo dell’emotivo sul razionale, come sottolineano gli avvocati che seguono il caso. Una giustizia algoritmica, cieca e muta.

Nel mirino di questa nuova inquisizione ci sono articoli critici, sì, ma motivati e scritti con rigore: interviste a vescovi come Mons. Strickland, riflessioni sulla massoneria, prese di posizione sulla dottrina cattolica sull’omosessualità (che, ricordiamolo, definisce certi atti “intrinsecamente disordinati”). Tutte cose note, pubbliche, parte del magistero. Il risultato? Un blog con 22.000 post, decenni di riflessione, sparito in un clic. Senza processo, senza udienza, senza contraddittorio. Un colpo di spugna su un archivio teologico e liturgico che non tornerà più. Ma questo, pare, a Google non interessa. L’algoritmo ha deciso. Amen.

E mentre la redazione avvia i ricorsi, scatta la mobilitazione. Cooperatores Veritatis denuncia «un’inquisizione rovesciata». Don Mario Proietti parla di «dittatura dell’emotività». Si giudica il tono, non il contenuto. Si condanna il disagio che provoca, non la verità che afferma.

Messa in latino non era un passatempo per nostalgici, ma un baluardo culturale e spirituale. Un faro, direbbe qualcuno, per chi naviga tra le acque torbide del modernismo liturgico. E ora quel faro è stato spento. Da chi? Da cosa? Da un algoritmo che confonde il dissenso con l’odio. Un algoritmo senza cuore e senza cultura.

Non è la prima volta, certo. Anche la BBC e il Washington Post hanno sperimentato simili censure. Ma qui parliamo di fede, dottrina, teologia. Non di gossip o futilità. Qui si tocca la carne viva della coscienza, del pensiero, della Tradizione di milioni di persone.

Cosi, anche Mons. Nicola Bux, teologo, ha visto rimuovere un’intervista dove metteva in discussione il motu proprio Traditionis Custodes. Troppo per Google? Forse sì.

Intanto, da oltre Tevere, arriva una ventata di sobrietà e concretezza con il nuovo Papa Leone XIV. Un pontefice che «non ha fatto il botto» — niente show, niente urla, solo passi calcolati e precisi — ma sta rimettendo Roma al centro con una fermezza diplomatica e liturgica sorprendente. Ha ripreso abiti liturgici solenni, ha citato urgenti appelli di pace — dall’Ucraina a Gaza — pronunciando parole pesate. Qui non c’è spazio per la tv‑pontificia o i colpi di teatro: c’è un Papa che punta a una riforma silenziosa, una leadership comunitaria, che parla poco ma fa molto. Un segnale chiaro per chi crede che la Chiesa tradizionale sia già un capitolo chiuso: non lo è affatto. Una carezza per i cuori affranti. Un segno che il Traditum non è morto. Neanche se lo dice Google.

Ma intanto resta la ferita. E resta una domanda che brucia: se oggi può sparire un sito solo per aver esposto dottrina cattolica in modo educato, chi sarà il prossimo? Un professore? Un parroco? Un giornalista? Una madre di famiglia che posta una riflessione sul Vangelo?

Il rischio è grande. Perché quando le parole vengono staccate dal contesto, quando si giudica il “sentito dire” invece che l’argomento, la libertà non è più tale. È una concessione revocabile, fragile come una riga di codice.

Non è solo questione religiosa. È una questione democratica. Messa in latino dava voce a un mondo intero, e lo faceva con cultura, rigore e passione. Zittirlo significa zittire una parte importante della Chiesa, della storia, della società.

E quando si spegne una voce lucida, non vince la pace. Vince il buio.