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Leone XIV e la prima Messa per la custodia della creazione

Un invito severo alla conversione in un mondo che brucia

Castel Gandolfo, 9 luglio 2025 — Nel bel mezzo dell’estate romana, sotto il cielo limpido che accarezza le Ville Pontificie, Papa Leone XIV ha scritto una pagina importante nella storia della Chiesa. Niente parate, niente sfarzi, ma un gesto carico di significato e, a suo modo, di audacia: ha celebrato la prima Messa per la custodia della creazione. Non un evento qualunque, ma il battesimo ufficiale di un nuovo formulario liturgico – fresco di stampa vaticana –, pensato per scuotere le coscienze intorpidite di un’umanità che si svende davanti allo sfruttamento del pianeta.

Il quadro è emblematico, e un po’ anche simbolico di certe mode: il Giardino della Madonnina, nel cuore delle Ville Pontificie, è oggi ribattezzato “Borgo Laudato si’”, con tanto di etichetta ecologica. Ma sia chiaro: non è ricolorando un angolo storico che si salva il pianeta. L’ambientalismo, quello serio, non si fa a colpi di branding e paesaggismo spirituale. Serve ben altro: parole che scuotono, scelte vere, e una conversione che parta dalla testa, non dal giardino.
Papa Leone XIV, almeno su questo, ha tenuto la barra dritta. Niente folclore: “Il creato non è una preda da sfruttare, ma un dono da custodire”, ha detto senza mezzi termini.
Parole che danno fastidio a chi crede che si possa ancora vivere nell’abbondanza cieca, come se tutto fosse illimitato. Illusione pericolosa. E anche un po’ comoda

Un richiamo senza fronzoli al grido della terra e dei poveri

Non c’è robustezza retorica nelle parole del Papa, ma una sincerità che punge. “Ascoltiamo il grido della terra e il grido dei poveri”, ha scandito. Due grida che convergono, si alimentano a vicenda, e che la Chiesa non può né deve ignorare. Come dire: la crisi ambientale non è un tema politecnico per accademici, ma una questione di giustizia sociale. Chi pensa di chiudere un occhio sulla devastazione ecologica chiude un occhio su chi soffre di più, spesso il più povero e il più fragile. Senza scuse. E senza se e senza ma.

Leone XIV non si è accontentato di parole di circostanza. Ha spinto l’uditorio a “mobilitare intelligenze e sforzi” perché “il male sia volto in bene, l’ingiustizia in giustizia, l’avidità in comunione”. Questo, in soldoni, significa smettere di far finta di niente. Significa un cambio di marcia radicale, una conversione ecologica che non è una moda da intellettuali o da qualche lobby ambientalista, ma una dimensione essenziale della fede cristiana.

Ecco il nocciolo del discorso, la chicca che alcuni non vorrebbero sentire: o il cristiano si prende cura del creato, o la sua fede è incompleta. “Se crediamo nel Dio Creatore, dobbiamo amare ciò che ha creato”, ha ricordato. Come dire: j’accuse per chi si fa vanto di fede e poi volta le spalle al paese (anzi, al mondo) reale.

La liturgia che parla con il linguaggio della natura

Lo scenario della celebrazione parla da sé. Il “tempio” non era fatto di pietre o marmi, ma di alberi, piante, il laghetto calmo davanti all’altare e la statua materna della Madonna a vegliare, quasi a ricordarci la nostra dipendenza dal Creato intero. Leone XIV l’ha definito “la bellezza di una cattedrale naturale”. Semplice sintesi di un’idea forte: la liturgia che si fa spazio nel respiro del mondo, che incrocia la realtà creata e riconosce il suo mistero sacro.

La Messa ha seguito il nuovo formulario – appena approvato dal Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti – che si inserisce nel corpus delle Messe votive dette “pro variis necessitatibus vel ad diversa”. Non una piccola rivoluzione: finora la liturgia aveva pochi riferimenti espliciti alla custodia del creato. Ora c’è un testo ufficiale, che può diventare una pratica costante nelle comunità, un faro liturgico che illumina la strada da percorrere insieme.

Nel cuore del Giubileo, una speranza che non illude

Nonostante l’allarme per “un mondo che brucia sia per il surriscaldamento sia per i conflitti armati”, come ha più volte sottolineato Leone XIV, il Papa non è un profeta di sventura. Condanna con fermezza ma non perde la speranza: “Nel cuore dell’anno del Giubileo possiamo dirlo più volte: c’è speranza! L’abbiamo incontrata in Gesù”.

Riprendendo il Vangelo della tempesta sedata, ha ricordato come la paura che paralizza i discepoli sulle acque agitate sia la stessa che ancora oggi serpeggia nell’umanità di fronte alle sfide globali. Ma Gesù, con autorità discreta, calma la tempesta e dona nuova vita. Un messaggio forte: la fede non è fuga, ma forza e creatività di salvezza, non è menzogna, ma promessa concreta.

Lo stupore dei discepoli interrogati sul Figlio che domina i venti e il mare diventa metafora di un invito a riconoscere in Cristo il capo del corpo della Chiesa e il signore di ogni creatura. Dunque chi detiene il potere vero è colui che crea vita, non che domina con la violenza.

Opporsi con coraggio ai principi distruttivi

Non è un ricamo pastorale, ma un impegno preciso quello evocato da Leone XIV: opporsi al potere distruttivo dei “prìncipi di questo mondo”. Chiariamo: non parliamo di politicanti o di cavilli ideologici. Parliamo del sistema che saccheggia, che incurante della dignità umana e della natura spinge al collasso il pianeta.

“La voce del Signore è forza e potenza”, ha detto il Papa, “e questa voce impegna la Chiesa alla profezia”. Tradotto: chi si chiama cristiano deve essere un profeta, non un receptionist della distruzione. E questo si traduce in audacia. Non nell’arroganza, ma nel coraggio lucido di sfidare chi mette al primo posto interesse personale, avidità e ingiustizia.

In altre parole, la custodia della creazione non è pura poesia. È battaglia culturale, sociale, persino politica, anche a costo di scontentare poteri forti.

La conversione, non più un optional

Mai come ora la conversione personale e comunitaria è stata posta al centro. Il Papa ha espressamente chiesto di pregare “per la conversione di tante persone dentro e fuori della Chiesa che non riconoscono l’urgenza di curare la casa comune”. Qui sta la vera scommessa: non basta agitare bandiere ecologiste o ripetere slogan se manca il cambiamento di stile di vita, di priorità.

Come ha ricordato Leone XIV, i disastri naturali che vediamo ovunque non sono “solo” un caso, ma la conseguenza degli eccessi umani, del nostro modo di vivere e consumare. Il fatto che uno guardi dall’altra parte, pensando che “tanto le cose non cambiano”, è la vera piaga. Oppure pensare che la soluzione sia solo tecnologica o politico-ambientale, senza mettere in campo un cambiamento profondo nell’anima.

Alla fine, ci troviamo davanti a una scelta netta: o si cambia rotta ora, o saremo tutti responsabili del disastro che si sta consumando sotto i nostri occhi.

La relazione con il creato: uno sguardo contemplativo

Chiude Leone XIV con un invito cristallino a riscoprire “uno sguardo contemplativo”. Non si tratta di abbandonarsi a una meraviglia estetica fine a sé stessa, ma di fare un salto d’intelligenza e di cuore che ricostruisca la relazione con le cose create.

La crisi ecologica, ha ammonito, nasce dalla rottura delle relazioni più fondamentali: con Dio, con il prossimo e con la terra stessa. È questa rottura che genera il peccato, l’indifferenza, l’avidità divorante.

Ecco allora il senso del “Borgo Laudato si’” come laboratorio: un luogo dove provare a ricostruire questo tessuto spezzato, un banco di prova concreto di come un rapporto armonico con la natura possa guarire e riconciliare. Non è utopia, ma pratica possibile.

Il Pontefice ricorda infine che “nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione”, dove Dio raggiunge l’uomo “non dall’alto, ma da dentro”. Un’immagine potente: Dio si fa carne anche nel pane, nella materia semplice e fragile che mangiamo, quasi a dirci che il sacro si nasconde in ogni cosa creata, e quindi ogni cosa è inviolabile.

L’omelia si chiude con le parole di sant’Agostino dalle Confessioni: “Le tue opere ti lodano affinché ti amiamo, e noi ti amiamo affinché ti lodino le tue opere”. Un circolo virtuoso che vorremmo potesse parlare al cuore di molti, al di là di ogni retorica.

Un gesto simbolico in un’estate difficile

Quel che è successo oggi non è solo una Messa. È un segnale netto dall’alto. Un invito a svegliarsi. La Chiesa non intende restare spettatrice silenziosa di un mondo che si sfascia. Ha scelto di farsi carico della sua parte, di sposare una causa che è più di un’emergenza ambientale: è questione di sopravvivenza morale, spirituale e sociale.

Soprattutto, lo ha fatto con i piedi ben piantati nella realtà, senza illusioni o retorica. Ecco perché il luogo è emblematico, un ex laboratorio di Papa Francesco che adesso assume nuova dimensione con Leone XIV. Castel Gandolfo, tradizionale regno di riposo e quiete per il Pontefice, diventa ora un palco da cui si lancia un messaggio chiaro: la custodia del creato è una missione irrinunciabile. Punto.

E se, a margine di tutto ciò, tra i pochi presenti c’era anche Volodymyr Zelensky, che porta il peso di un conflitto brutale proprio mentre il pianeta grida, non è un caso. È la fotografia di un tempo in cui guerre, fame e crisi ambientale non sono mondi separati ma facce della stessa medaglia.

Le cifre della crisi ambientale le conosciamo tutti. I disastri naturali si susseguono come una cinepresa impazzita. Quelle che mancano sono le soluzioni, o meglio, la volontà di prenderle. Papa Leone XIV non si nasconde dietro un dito: serve conversione radicale. Non basta produrre una Messa ‘green’, occorre che quella Messa parli alle vite concrete. Ecco perché l’appello non è semplificato, ma complesso, perché invita ciascuno ad assumersi una responsabilità personale e comunitaria.

La crisi oggi non può essere più taciuta né ridotta a semplice tema ambientalista. È un problema di giustizia, di fede, di umanità. Nessuno escluso. Il rischio di un “loop” distruttivo è dietro l’angolo. Ma il Papa, con l’esperienza di chi ne ha viste tante, ricorda che la speranza non è un miscuglio di ottimismo ingenuo. È concreta. È Gesù che ancora calma la tempesta.

In tempi in cui molti fanno finta di niente o si rifugiano in facili scorciatoie, il messaggio di Leone XIV è una doccia fredda. Ma anche un bicchiere di vino buono: amaro ma capace di risvegliare i sensi e ripulire la mente.

Chi ha orecchie da intendere, intenda

La custodia della creazione è missione del cristiano – e del mondo – oggi. Non si può più tergiversare. Il tempo è scaduto: o si agisce con coraggio e coerenza, o il prezzo lo pagheremo tutti, nessuno escluso. In una “cattedrale naturale” come quella del Borgo Laudato si’, la Chiesa torna a chiedere che il giudizio non resti solo teologico, ma diventi pratica di vita.

Agire ora non è più scelta. È l’ultima chiamata.

Questo non è il tempo delle favole. È quello della responsabilità. E Leone XIV, con una Messa semplice ma decisiva, ce lo ricorda in modo chiaro e netto.