Vaticano, Conclave: i papabili. Chi prende il timone se Francesco cade?

Ci risiamo. Il Vaticano è di nuovo in apnea, con gli occhi puntati sul letto di convalescenza del Papa. Francesco, 88 anni sul groppone e una tenuta fisica che ormai scricchiola come una sedia vecchia, è reduce da un’infezione polmonare. Il ricovero al Gemelli è già alle spalle, ma la sua salute resta un tema bollente: migliora, sì, ma a passo di lumaca. E in questo clima da sala d’attesa, si torna a parlare di successione. Chi sarà il prossimo a indossare il bianco?
Il “toto-Papa” impazza più dei reality. Le cordate si muovono silenziose ma affilate, come coltelli da cucina. La politica interna della Chiesa si infiamma con la stessa sobrietà di una rissa da bar. Altro che Spirito Santo: qui il fumo è quello delle stanze chiuse, e il profumo è quello dei dossier ben preparati.
Francesco è rientrato a Santa Marta, ma non è certo il ritorno di un leone in gabbia. È più un anziano stanco, incalzato dai dolori e circondato da monsignori con lo sguardo lungo, pronti a spingerlo dolcemente verso la porta. Nessuno lo dice apertamente, ovviamente. Ma i sorrisi sono di circostanza, e le preghiere suonano sempre più come il sottofondo di un addio annunciato.
In questa atmosfera mefitica, le manovre curiali prendono corpo. I nomi che circolano non sono nuovi: Pietro Parolin, Matteo Zuppi, Luis Antonio Tagle. Tutti venduti come “uomini di dialogo”, ma ognuno con le proprie clientele e le proprie spine. Parolin è la macchina diplomatica. Zuppi è il progressista buono, quello che piace a sinistra. Tagle è il gesuita mancato che sogna un pontificato più tenero. A far da contraltare, i conservatori duri e puri: Sarah, Burke, e quella pattuglia di cardinali nostalgici del latino e delle processioni in cappa magna.
Il paradosso è che il Papa, mentre fatica a respirare, resta l’unico che cerca ancora di tenere insieme una Chiesa che si sfilaccia da tutte le parti. Ma il tempo stringe. Le riforme rischiano di restare appese, e i soliti noti scalpitano per far tornare la Chiesa indietro, quando bastava un’omelia in latino per sembrare santi.
Nel frattempo, il mondo cattolico arranca. La società cambia, corre, si ribella. E la Chiesa? Tentenna. Si barcamena tra i proclami misericordiosi e le chiusure medievali. Omossessualità, donne sacerdote, famiglie arcobaleno? Parole che in Vaticano sembrano bestemmie. Eppure la realtà bussa alla porta, sempre più forte.
Il rischio? Che la Chiesa, nella sua paura di perdere la bussola, finisca per perdere il gregge. Se il prossimo Papa sarà scelto per placare le fazioni, allora ci aspetta un pontificato di melina, buono per tenere i conti a posto ma incapace di dire qualcosa al cuore della gente. E questo, per un’istituzione millenaria, è l’inizio della fine.
La verità è che la “Chiesa dei poveri” è rimasta sulla carta. Un brand buono per i discorsi, ma del tutto evaporato nella prassi. Francesco ci ha provato, su questo non si discute. Ma ha trovato resistenze feroci, dentro e fuori le mura leonine. E adesso, con la salute che balla e la forza che manca, chi potrà raccogliere quel testimone senza lasciarlo cadere?
Nel frattempo, i cardinali si scannano su tutto: dottrina, morale, liturgia. Invece di pensare a come evangelizzare un mondo che non crede più a niente, si azzuffano su chi ha il diritto di accedere all’altare. Come se i problemi della Chiesa si risolvessero con un regolamento di condominio. E così si va avanti, tra sermoni inascoltati, sinodi-farsa e dichiarazioni che puzzano di ipocrisia. Intanto la gente se ne va. I fedeli latitano. I giovani guardano altrove. Il rischio? Che la Chiesa diventi un museo ben custodito, ma senza visitatori.
Allora sì, la questione non è solo chi sarà il prossimo Papa. Il punto è capire se ci sarà ancora una Chiesa in grado di parlare a questo mondo. O se resteranno solo le foto, le reliquie, e qualche messa seguita da quattro gatti. Chi verrà dopo Francesco, dovrà decidere se accontentarsi di essere un amministratore del declino o se avere il coraggio di rimettere tutto in discussione. E per farlo ci vuole fegato, lucidità e, soprattutto, fede vera. Non quella da palazzo, ma quella della strada, del dolore e della carne.
Il Papa è convalescente, ma la Chiesa è malata. Non di polmonite, ma di paura. E finché non lo si ammetterà apertamente, le preghiere serviranno a poco. Perché Dio perdona, ma la Storia no.