Casa Santa Marta, 9 aprile 2025. Carlo III e Camilla spuntano in Vaticano come due parenti lontani che arrivano a cena senza avvisare. Nessuno li attendeva, eppure eccoli lì: stretta di mano, sorrisi stiracchiati e un pacchetto rosso misterioso tra le mani. Si è parlato di tutto, dalle poltrone dorate alle chiese che cadono a pezzi. Ma il vero spettacolo era altrove: un Papa in ripresa, sorridente, quasi beffardo, che sembrava dire “non mi avrete così facilmente”.
Tradizionalmente, questi incontri sono un teatrino ben oliato: inchini, strette di mano, sorrisi da cerimonia. Ma stavolta il copione è stato stracciato. Carlo e Camilla hanno messo da parte le formalità, quasi volessero dire: “Basta ipocrisie, siamo tutti nella stessa barca che imbarca acqua”. Un gesto umano, forse più furbo che spontaneo, ma comunque efficace.
Francesco, reduce dall’ennesima battaglia ospedaliera, si è presentato senza cannule, senza segni visibili di fatica. Un colpo di scena degno di un film: il Papa malato che si alza in piedi, letteralmente e simbolicamente, mentre il mondo inciampa nei suoi stessi dogmi. Altro che miracolo, qui siamo al marketing dell’anima.
I tabloid britannici ci hanno servito la storiella del ventesimo anniversario di matrimonio di Carlo e Camilla, con tanto di sorrisi a denti stretti. Ma nessuno si beve che dietro quelle smancerie non ci sia una regia precisa, fatta di opportunità diplomatiche e ricostruzioni di immagine. E intanto, fuori dai palazzi, la gente fa i conti con bollette e malasanità.
Ma andiamo al sodo. Questo incontro non è stato solo una stretta di mano tra due istituzioni. È stato il tentativo, un po’ disperato, di mostrare che la fragilità – fisica, morale, politica – può anche essere messa in vetrina con orgoglio. Il Papa parla con Carlo di amore, di coraggio, di dignità. Ma il messaggio tra le righe è chiaro: pure noi barcolliamo, ma almeno lo facciamo in diretta TV.
Pensare che tutto questo basti a cambiare le cose sarebbe da illusi. Ma almeno, per un istante, le acque stagnanti si sono mosse. E già questo, in tempi di paralisi generale, sembra rivoluzionario.
In Europa si parla di unità, di valori condivisi, ma poi ognuno tira l’acqua al suo mulino. Eppure qui, tra un bacio sulla guancia e un “buona guarigione”, s’intravede una piccola crepa nel muro della diffidenza. Magari è solo fuffa. O magari, è l’inizio di qualcosa.
Carlo si mostra vulnerabile, Francesco si mostra resiliente. Due vecchi leoni stanchi, ma ancora con le unghie affilate. Chi guarda da casa dovrebbe farsi una domanda semplice: “Noi, dove siamo in tutto questo?”. Perché la verità è che l’amore, la solidarietà, la compassione… sembrano belle parole. Ma se non ci credi, diventano solo etichette buone per una brochure.
In fondo, questo incontro lancia un messaggio sottile ma potente: serve più carne e meno fumo. Meno cerimonie e più atti concreti. E se persino un Papa malato e un re con la corona ammaccata riescono a dirsi qualcosa di umano, forse c’è speranza anche per noi, comuni peccatori.