Chi ha paura di don Mattia Ferrari? Non è più tempo di Messe mute

Il caso di Don Mattia Ferrari non è solo una pagina sporca nel libro già consunto della nostra società: è uno schiaffo a mano aperta alla coscienza collettiva, uno sputo in faccia a chi si ostina a definirsi “civile”. Una storia di intimidazione? Certo. Ma anche la radiografia di un Paese in cancrena morale, dove la Chiesa – quella vera – arranca nel fango della sua crisi d’identità, balbettando preghiere mentre fuori si alzano muri e si affondano barconi.

Don Mattia, giovane prete con più fegato che titoli onorifici, cappellano della ONG Mediterranea Saving Humans, è diventato bersaglio perché si è permesso il lusso dell’umanità. Sì, perché oggi chi abbraccia un migrante viene trattato come un criminale, chi salva vite rischia la sua. E intanto, mentre lui predica la misericordia, c’è chi fabbrica spyware. Graphite, per l’esattezza, una porcheria degna della STASI, infilata nei telefoni per sorvegliare chi osa ancora alzare la testa.

Dicembre 2023: un uomo incappucciato tenta di entrare in casa sua. Non è un ladro: è un avvertimento. Il messaggio è chiaro come una minaccia in dialetto stretto: “Stai al tuo posto, prete”. Ma se nemmeno un sacerdote della carità può sentirsi al sicuro tra le mura di casa sua, che speranza resta per chi scappa dalla guerra o dalla fame? Nessuna. Ed è proprio questo il punto: creare paura, zittire, congelare le coscienze.

Ma il peggio deve ancora venire. Insieme al collega Luca Casarini, Don Mattia riceve notifiche da Meta: i loro account sono stati violati, attenzionati. Cyberspionaggio, mica pizza e fichi. I dispositivi elettronici trattati come grimaldelli moderni da chi dovrebbe garantire, non spiare. Uno Stato che sorveglia i suoi profeti è uno Stato che ha paura della verità. E la paura, si sa, rende codardi. O peggio: vigliacchi con la divisa.

A Bruxelles, la Commissione LIBE del Parlamento europeo era pronta ad ascoltarli. Ma sorpresa delle sorprese – e che sorpresa non è – l’audizione viene fatta saltare. Boicottata da chi della paura ha fatto una bandiera, da chi i diritti li piega e li stira secondo l’umore elettorale. I soliti noti, mimetizzati dietro parole d’ordine stantie come “ordine” e “sovranità”. Il trucco è vecchio: quando non puoi confutare, silenzia. E se serve, infanga.

Alfredo Mantovano, uomo d’apparato con la voce sempre bassa e i documenti sempre chiusi a chiave, ammette candidamente che sì, qualcosa c’è. Un’attività di spionaggio. Ma il resto? Muto come un pesce lesso. Zero trasparenza. Zero assunzione di responsabilità. E intanto, chi denuncia rischia la pelle. Complimenti vivissimi: altro che Stato di diritto, qui siamo alla farsa tragica.

E allora chi è Don Mattia Ferrari? Un prete che non si accontenta di celebrare messe e distribuire ostie, ma che scende nelle stive del mondo, che si sporca le mani. Uno che cammina tra chi fugge, che si fa prossimo, come insegnava un certo falegname di Nazareth. Il suo libro, Salvato dai migranti, è una frustata in faccia ai devoti della rassegnazione. Non una raccolta di memorie, ma un atto d’accusa, un grido da profeta.

Eppure, attorno a Mediterranea Saving Humans, l’aria è densa, irrespirabile. Minacce, ostruzionismo, campagne stampa, silenzi colpevoli. Le audizioni saltano, i microfoni si spengono, le voci si azzittiscono. E noi? Restiamo lì, come mucche ipnotizzate davanti al treno in corsa. Nessuna indignazione. Nessuna rivolta. Solo un quieto vivere che odora di complicità.

Non è solo una questione di barconi o di porti chiusi: è una questione di civiltà. Di decenza. Mediterranea è l’ultima spina nel fianco di un potere che detesta chi mette in discussione il dogma dell’indifferenza. Don Mattia è pericoloso perché è vero. Perché crede ancora che l’amore cristiano debba sporcarsi le mani. E questa, oggi, è un’eresia.

La Chiesa? Dovrebbe inchinarsi di fronte a chi come lui vive il Vangelo con le scarpe infangate. Dovrebbe proteggerlo come un tesoro. E invece? Troppo spesso si rifugia dietro i salmi e i comunicati stampa. Se non ritrova il coraggio dei martiri, se non rompe il muro della paura, sarà destinata a evaporare. A ridursi a un mobilificio liturgico con vista sull’inferno.

La realtà è che la battaglia è già cominciata. Una guerra senza fucili, ma con spyware, dossier, omissioni e diffamazioni. E in questa guerra, Don Mattia combatte con la tonaca, con la parola, con i fatti. Non è solo: con lui ci sono le coscienze ancora sveglie, quelle che non si sono vendute per un piatto di sicurezza.

Dobbiamo scegliere. Tra l’indifferenza e il coraggio. Tra la finta legalità e la vera giustizia. La fede vera non è recitare Ave Maria in tv, ma mettersi accanto a chi soffre, anche quando fa male. Soprattutto quando fa paura.

Don Mattia è lì, saldo, mentre intorno a lui crollano certezze e si alzano steccati. È lì a ricordarci, con la sua voce calma e la sua presenza testarda, che la missione non è fare bella figura, ma fare il bene. Anche quando costa.

Si alza la voce per chi non ha voce. Si affrontano le ingiustizie. E si dice:

“No, noi non abbiamo paura.”