Altro che bollettino vaticano: quello che è accaduto il 14 aprile 2025 è roba da mettere in grassetto sul calendario della Storia, non da relegare nei trafiletti ecclesiastici. Papa Francesco ha dato il via libera a una sfilza di decreti per beatificazioni e canonizzazioni. Non si tratta dell’ennesima raccolta punti del Dicastero delle Cause dei Santi, ma di una vera e propria scossa al sistema. Questi non sono santini da collezione, ma esseri umani con vene, carne e idee. E soprattutto, con una fede che non puzza di naftalina.
Tra i decreti spicca quello che riconosce un miracolo alla Venerabile Eliswa della Beata Vergine. E qui viene il bello: chi è che decide cosa sia un miracolo? E perché mai dobbiamo accettare che sia per forza opera di un santo? No, questa non è solo un’operazione di immagine, è un segnale preciso: la Chiesa vuole dire che la santità non è una reliquia da museo, ma una freccia lanciata verso il futuro.
Poi c’è Nazareno Lanciotti, martire in odium fidei. Non uno che fa notizia per le vesti talari inamidate, ma per averci lasciato la pelle. Oggi, mentre in molte zone del mondo i cristiani vengono massacrati nell’indifferenza globale, la sua figura si staglia come un monito. Ma noi, occidentali sazi e intorpiditi, giriamo lo sguardo altrove. Del resto, l’ipocrisia di chi si scandalizza solo quando è comodo è un esercizio ormai olimpionico. E gli scettici, quelli col “ma” sempre in tasca, come giustificano il loro scetticismo ora?
Tra i nomi con “virtù eroiche” ce ne sono alcuni che non suonano familiari al grande pubblico: Pietro Giuseppe Triest, Angelo Bughetti, Agostino Cozzolino e Antonio Gaudí i Cornet. Quattro nomi che non sono da rotocalco, ma che hanno inciso, ognuno a modo suo. Triest, esempio di carità concreta; Bughetti, pedagogo con visione; Cozzolino, testimone di ricostruzione dopo la guerra; e Gaudí, che ha scolpito nel cemento armato una fede visionaria. Altro che statue impolverate: queste sono fiammate vive in un mondo che, troppo spesso, dorme col crocifisso al collo solo per scaramanzia.
E allora sì, la Chiesa pare voler voltare pagina. Miracoli, martiri, virtù e bellezza si mescolano come colori sulla tavolozza di un pittore impaziente. Non più santità come disciplina d’archivio, ma come urgenza contemporanea. Perché in tempi di caos, serve chi abbia il coraggio di alzare la voce del Vangelo, anche tra le macerie.
Ogni figura riconosciuta non è solo il timbro su un atto canonico: è un ceffone morale a chi vorrebbe la fede ferma, rigida, preconciliare. È la prova che si può credere senza impolverarsi il cervello. E se Dio ci ha dato l’intelligenza, forse non era per recitare meccanicamente preghiere scritte secoli fa, ma per interrogarci su cosa fare, oggi, qui, adesso. La santità che non parla più a nessuno è morta. E di morti ne abbiamo già abbastanza.
Ci saranno quelli che storceranno il naso, come sempre. Ma chi ha paura del nuovo, della svolta, della prova muscolare del cambiamento, si accomodi pure tra i nostalgici del Medioevo. La Chiesa, se vuole davvero riprendersi il suo posto nel mondo, deve smettere di inciampare nei suoi stessi passi. I santi non chiedono celebrazioni vuote: chiedono ascolto. E noi? A chi chiediamo qualcosa, quando ci sentiamo persi? Magari, tra queste nuove figure, c’è anche chi sa rispondere. A patto, ovviamente, di avere ancora orecchie per sentire.