Primo giorno di convalescenza per Papa Francesco. Ieri, il Pontefice ha lasciato il policlino Gemelli dopo un lungo ricovero durato quasi 40 giorni. Un’ombra di preoccupazione aleggiava su Roma. La diagnosi? Polmonite bilaterale. Una malattia insidiosa che lo ha costretto a una pausa forzata dalla sua missione pastorale.
Ora, nella sua residenza a Santa Marta, Francesco è sotto l’occhio attento dei medici. Due mesi di riposo, fisioterapia e terapie sono stati imposti. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, ha voluto commentare la situazione in un incontro dal titolo “Vatican Longevity Summit: sfidare l’orologio del tempo” tenutosi all’Augustinianum.
“Il Papa ora deve stare tranquillo,” ha affermato Parolin. Le sue parole risuonano come un monito. “Per il momento gli sottoporremo solo le questioni più importanti.” Ma quali sono queste questioni? Cosa significa “importante” in un contesto come quello vaticano? In un mondo in cui ogni parola di Francesco pesa come piombo, l’attenzione si concentra su cosa potrebbe richiedere la sua decisione e su quanto potrà affaticarlo.
“Il lavoro di ufficio continuerà,” ha spiegato il Cardinale. Incontri selettivi, dossier inviati per una decisione ponderata. Ma le udienze pubbliche? Sarà possibile? Parolin non si sbilancia: “Credo che per il momento non sia pensabile una ripresa immediata.”
E mentre si nutre questa speranza cauta, la mente corre a eventi futuri già programmati. Si parla della visita di Re Carlo III, prevista per aprile. Buckingham Palace ha già annunciato l’incontro, ma Parolin serra i ranghi: “Spero che almeno un saluto glielo possa dare.”
Ma c’è dell’altro nel cuore del Cardinale. Non solo salute e recupero. C’è la questione della pace. E non una pace qualsiasi, ma quella tanto agognata tra Israele e Palestina.
“Il Papa lavora a vie di pace e dialogo anche con Israele,” dichiara Parolin ai giornalisti.Speriamo agisca nel diritto. È questo appello alla giustizia che vibra nel silenzio delle stanze vaticane? La Chiesa è sempre stata baluardo di diritti umani e dignità; come può rimanere indifferente dinanzi alle sofferenze del popolo palestinese o alle tensioni israelo-palestinesi?
L’eco delle sue parole è forte. Ricorda i tempi antichi quando la Chiesa aveva voce in capitolo nelle dispute mondiali; oggi sembra relegata a spettatrice impotente. Ma Francesco non è solo un osservatore passivo; è un uomo d’azione.
I suoi gesti parlano più delle parole stesse; abbracci, incontri interreligiosi, aperture al dialogo con tutti i popoli — persino quelli lontani dalla fede cristiana — perché alla fine ciò che conta è l’uomo in quanto tale.
Cosa resta da fare allora? Continuare a sperare? Agire? Forse entrambe le cose. Il messaggio è chiaro: anche se il corpo del Papa si trova sotto pressione, lo spirito rimane ardente e pronto a combattere per la verità e la giustizia.
Nella sua riflessione finale, Parolin invita alla pazienza e all’attesa: “Poi dipenderà dal recupero che avrà.” Ciò che viene prima è il benessere di Francesco; sarà lui stesso a decidere quando sarà pronto per tornare in campo.
Mentre i fedeli attendono notizie dal Vaticano, ci si interroga sul futuro della Chiesa e sulla sua capacità di affrontare le sfide contemporanee senza perdere la propria essenza spirituale.