Un terremoto devastante ha colpito il Myanmar, lasciando una scia di distruzione e dolore. Un sisma di magnitudo 7.7 ha ridotto in macerie un tempio buddista a Naypyitaw, la capitale del Paese. Le immagini sono strazianti: colonne crollate, marmi frantumati, un silenzio assordante che cela il grido di chi non c’è più. Secondo le ultime notizie fornite dalla giunta militare al potere nel Paese, il bilancio delle vittime è salito a oltre 1.600 morti e più di 3.400 feriti.
Ma non è solo il terremoto a tormentare questa nazione martoriata. La guerra civile continua a infuriare, gettando ombre su ogni speranza di rinascita e guarigione. Questo contesto drammatico ha trovato eco nelle parole di Papa Francesco, che durante l’Angelus ha lanciato un accorato appello per la pace in Myanmar.
Francesco ha invitato tutti a considerare questo periodo come “un tempo di guarigione”. Ha esortato le comunità a mettere da parte le divergenze, non solo in Ucraina o nel Medio Oriente, ma anche in Congo, Sud Sudan e nel Myanmar stesso. “La mia quaresima” ha detto “è un invito alla riflessione e alla riconciliazione.”
La situazione è complessa e intrisa di tensione. Il Myanmar vive una guerra civile che si è intensificata dopo il colpo di Stato del febbraio 2021. Ora, con l’aggiunta del terremoto, la crisi umanitaria si aggrava ulteriormente. La difficoltà nel gestire l’emergenza sanitaria ed economica è palpabile; mancano i rimedi necessari per curare i feriti e fornire sostegno ai sopravvissuti.
Il popolo birmano si trova ad affrontare una doppia calamità: la natura che si scaglia contro la sua terra e un governo oppressivo che ignora le istanze dei cittadini. La giunta militare continua a reprimere ogni forma di dissenso con violenza inaudita. I diritti umani vengono calpestati quotidianamente mentre i rifugiati fuggono verso paesi limitrofi in cerca di sicurezza.
In questo scenario desolante emerge la figura del Papa come voce profetica che richiama all’unità e alla pace. Le sue parole risuonano come un eco nei cuori disperati della popolazione birmana: “Mettiamo da parte le divergenze.” Ma come farlo? Come riunire una nazione segnata da conflitti interni? Queste domande rimangono senza risposta mentre la sofferenza cresce.
I monasteri – simboli della spiritualità buddista – ora giacciono distrutti; i monaci sono tra i colpiti dal sisma e dalla guerra civile. Il loro ruolo nella comunità è cruciale non solo per la fede ma anche per mantenere viva la cultura locale in un momento così critico.
È necessario guardare al futuro con speranza? Se sì, quale futuro può esserci per una nazione così provata? L’appello del Papa potrebbe rappresentare una luce in fondo al tunnel ma richiede sforzi concreti da parte della comunità internazionale e dei leader locali per tradurre questa visione in realtà.
L’Angelus del Pontefice non è soltanto una preghiera; è una chiamata all’azione collettiva per affrontare le ingiustizie sia naturali che politiche che affliggono il Myanmar oggi.
Papa Francesco ci invita a riflettere su questo scenario tragico mentre ci prepara alla Pasqua: un tempo simbolico di resurrezione e speranza anche nei momenti più bui. Ma affinché questa resurrezione possa avvenire bisogna superare prima i conflitti interni, ricostruire ciò che è andato perduto e riportare pace dove regna solo caos.